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Andare in Cina a piedi. Racconto sulla poesia - Giovanni Giudici - copertina
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Andare in Cina a piedi. Racconto sulla poesia
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Informazioni:

Roma, e/o, 1992, 16mo brossura con copertina illustrata, pp. 124. Ottime condizioni.

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Andare in Cina a piedi. Racconto sulla poesia

Dettagli

E/O
1992
Tascabile
128 p.
9788876411359

La recensione di IBS

"Il modesto particolare che in Cina si potesse, e si possa ancora, arrivare viaggiando a piedi non lo prendiamo nemmeno in considerazione". Ecco perché ritrovarsi umile pellegrino sulla strada della poesia, quanto a fatica e gratuità, è come incamminarsi per l'Estremo Oriente, nella consapevolezza che la poesia resti, appunto, quanto di più immotivato ed infondato circoli ancora sulla terra. Ma anche di più necessario, come non si può non ammettere a lettura ultimata di questo breve e denso zibaldone, in cui Giudici, nel consueto 'sermo' feriale, tocca i temi più diversi, avanza idee estetiche e morali, racconta e divaga. Senza dismettere mai la "maschera di normalità" di chi ritiene, come l'amato Eliot, che la libertà e l'integrità della poesia siano meglio garantite da un lavoro che dalla poesia sia lontanissimo, da un'esistenza la più possibile ordinaria e regolare.Sulle prime, il testo sembra presentarsi come un'autobiografia letteraria il cui protagonista è l'artiere, il suo laboratorio, i suoi assilli tecnico-stilistici, le sue urgenze etico-artistiche. Ecco allora un'accanita considerazione sulle varianti di alcune poesie (o "poemi", come Giudici preferisce), sulla genesi di scelte lessicali, ritmiche, prosodiche; ecco una lucida analisi di cosa sia una lingua ("entità fisica, correlata al popolo, alla nazione che in essa parla", "miniera dell'inesprimibile", espressione "in sé e di sé stessa"), un testo poetico, un verso, per arrivare ad allestire un intelligente ed utile prontuario, che salvi il buon artigiano da trappole facilmente evitabili; ecco, infine, letture d'eccezione (come quella de "L'infinito") o confessioni d'autore che si risolvono in vere e proprie rettifiche critiche (come nel caso di "Salutz" e la supposta influenza della poesia trobadorica). è sulla scorta di tali riflessioni, quasi per necessità, che tornano a vivere sulla pagina i grandi maestri come Saba, Noventa, Buonaiuti, o amici come Giansiro Ferrata. E si tratta di pagine toccanti, talvolta di fulminanti scorciatoie critiche.Ma c'è dentro questo zibaldone un testo nascosto, forse più vero. Come se sotto questa cenere prosaica e antiromantica covasse una fiamma romantico-platonica, quasi scoprissimo ora la causa di certi cortocircuiti della poesia di Giudici: "Il poema viene a noi da un mondo ignoto ", "dalle sue imprendibili lontananze", e al poeta spetta solo un lavoro di "diligente e sofferta traduzione". D'altro canto, Giudici è perentorio: "Io credo... che, nella misura stessa in cui scrive il poema, il poeta ne sia a sua volta scritto, 'inventore' e 'inventato'". E ancora: "Spesso ho pensato che un poeta non abbia che una ed una sola cosa-da-dire e che ogni suo poema e forse ogni suo verso non siano, di quella, che flebili approssimazioni, l'impossibile dirla, conoscerla e volerla nella ferma luce del Senzatempo". Queste sono le burle della contemporaneità: che l'ufficio di un copywriter come Giudici possa nascondere un Iperuranio, che un'opera come "La vita in versi" possa celare, e forse parodizzare, un 'Itnerarium mentis in Deum. Deus sive. Nihil', ovviamente, la desolata terra abitata dal poeta: "Aspettavo anch'io il nulla in quel pomeriggio del 18 settembre". Che Noventa avesse ragione quando addebitava a Giudici una ricerca del sublime? A noi pare di sì: come si spiegherebbe quel piccolo capolavoro di "O Beatrice"? Lo stesso Giudici, in questo libro, inclina a crederlo.

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Conosci l'autore

Giovanni Giudici

(Portovenere, La Spezia, 1924 - La Spezia 2011) poeta italiano. Ha esordito nel 1953 con Fiorì d’improvviso, cui è seguito L’educazione cattolica (1963). Estraneo alla poetica ermetica, fin dalle prime opere si è riallacciato alla tradizione crepuscolare e, in parte, alla linea dei poeti liguri, con particolare riferimento a Montale. Dopo le raccolte d’esordio, la sua stagione matura si è aperta con La vita in versi (1965), che contiene le poesie scritte negli anni 1957-65, e Autobiologia (1969, premio Viareggio), nelle quali l’io cantato si fa sociale, protagonista di una biografia autoironica, raccontata con tono volutamente medio, senza eccessi né accelerazioni, giocato tra un ritmo narrativo quasi prosaico e improvvisi spunti lirici....

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