Punto di partenza di questa "storia della pubblicità" negli Stati Uniti, che consente di ripercorrere efficacemente molti aspetti della società e dei costumi d'oltreoceano, è l'attività di Barnum (1810-1891), universalmente noto per il circo in cui agli spettatori erano proposti numeri acrobatici, "scherzi di natura" e addirittura una sirena (in realtà una scimmia imbalsamata impiantata sul corpo di un pesce); Barnum era un geniale promotore di spettacoli ed esibizioni grazie a locandine, manifesti e inserzioni sui giornali, "rutilanti di frasi a effetto e rime accattivanti". Le origini della pubblicità in America risalivano già, per molti versi, alla "Pennsylvania Gazette" di Benjamin Franklin, sulla quale comparivano avvisi commerciali "piazzati, in maniera strategica, a fianco delle informazioni vere e proprie e degli editoriali". Solo, però, con la rivoluzione industriale, lo sviluppo delle ferrovie e l'aumento del volume dei traffici commerciali, i giornali iniziarono sistematicamente a ospitare in spazi specifici e ben definiti le comunicazioni a pagamento delle aziende. Le pubblicità riempirono le riviste illustrate. La "società dei consumi" si accingeva a compiere i suoi primi passi. La concorrenza rese presto necessario puntare sul brand (la marca). Con il tempo, inoltre, rispetto alle prime illustrazioni nelle quali erano solitamente raffigurati il proprietario e i fondatori dell'impresa, il "produttore" scomparve dall'orizzonte visivo: il committente, infatti, era sempre più spesso un soggetto corporate, impersonale e a direzione manageriale; la pubblicità puntava pertanto su elementi di maggiore attrattiva, che rispondevano alla mentalità e ai desideri del consumatore. E proprio questa trasformazione della grande impresa americana ebbe un ulteriore riflesso sulle inserzioni: si diffusero infatti quelle non orientate solo alla vendita di un prodotto, bensì a migliorare l'immagine complessiva di un'azienda. Fasce presenta, ad esempio, il caso del colosso della telefonia AT&T (American Telephone and Telegraph), che reagì alle polemiche sulle sue eccessive dimensioni con una campagna volta a dimostrare l'importanza del carattere "nazionale" della compagnia per garantire chiamate interurbane e interstatali, indispensabili di fronte alle esigenze della modernità. Un momento cruciale nella storia della pubblicità americana non può che essere, poi, l'età della prima guerra mondiale. Il Committee on Public Information, istituito dalla presidenza Wilson per gestire la comunicazione in quella delicata fase della vita del paese, sorse ripromettendosi di differenziare i nobili fini della publicity progressista e democratica statunitense dalla "propaganda" attuata, invece, in Europa: dovevano essere evitate, innanzitutto, censure, esagerazioni e manipolazioni. Sennonché, le esigenze della "battaglia per il cuore e le menti degli uomini" spinsero presto al "nazionalismo più gridato e intollerante". E allora ecco lo "zio Sam" con il dito puntato, o i manifesti con l'"unno invasore" che violentava donne inermi o, ancora, l'inquietante immagine della Statua della libertà tra le fiamme. Di lì in avanti, peraltro, gli intrecci tra pubblicità e politica non poterono che infittirsi. La campagna elettorale di Warren Harding, nel 1920, fu affidata a un pubblicitario. Nel frattempo, le tecniche pubblicitarie, con il contributo della psicologia (e il coinvolgimento diretto, in particolare, di John B. Watson, fondatore dell'indirizzo comportamentista), diventavano sempre più sofisticate. Sono molto interessanti, poi, le osservazioni di Fasce su come la Grande Depressione modificò l'immaginario pubblicitario degli anni trenta, che si incentrò sulle preoccupazioni più vive dei consumatori: un prodotto contro l'alitosi, ad esempio, era presentato quale soluzione a un problema che, altrimenti, avrebbe potuto compromettere persino il posto di lavoro. Durante la seconda guerra mondiale, invece, molti messaggi pubblicitari furono tesi a giustificare il momentaneo sacrificio della produzione dei beni di consumo di massa per quella bellica: così, in un annuncio della Norge, azienda produttrice di frigoriferi, in cucina si poteva anche trovare una mitragliatrice. Il volume dedica grande attenzione, ovviamente, ai cambiamenti portati dall'ingresso sulla scena di nuovi mezzi di comunicazione: la radio prima e la televisione poi (ma nelle ultime pagine non mancano altresì considerazioni sulle più recenti forme di interazione on line). Non può che soffermarsi sulle fortunate tesi del giornalista Vance Packard, che nel suo libro del 1957 I persuasori occulti denunciò le tecniche pubblicitarie volte a raggiungere la dimensione "inconscia" dei consumatori, quasi realizzando il "raccapricciante regno di George Orwell". Approda, infine, alle Cola wars (la lotta senza esclusione di colpi tra i marchi di bibite Pepsi e Coke) degli anni ottanta e all'odierno "proliferare di forme di promozione commerciale", che secondo alcuni rende problematico l'uso stesso del termine "pubblicità". Giovanni Borgognone
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