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Il volumetto inaugura una collana dedicata a letture manzoniane, sulla base di un progetto dal titolo “Accidenti, Manzoni!”, di cui dà conto nella nota introduttiva Mario Barenghi. La prima lettura è stata affidata a Salvatore Natoli, un filosofo noto per i suoi studi sul dolore e la felicità. Natoli muove da un passo straordinario del finale del II capitolo dei “Promessi sposi”: Renzo torna verso casa frustrato dall’incontro con l’Azzeccagarbugli, infuriato contro la ribalderia di don Rodrigo, e medita persino l’omicidio: Aggiunge Manzoni: “I provocatori, i soverchiatori, tutti coloro che, in qualunque modo, fanno torto altrui, sono rei, non solo del male che commettono, ma del pervertimento ancora a cui portano li animi degli offesi”. Ciò spiega il titolo del librettino, che si ferma sul contagio del male. Tenendo ferme le acquisizioni della critica manzoniana più autorevole, da Macchia a Raimondi, Natoli si sofferma con notazioni molto acute sulla pervasività del male, la responsabilità, la colpa e l’emendazione nel romanzo. Il romanzo di Manzoni, meglio che un trattato, ragiona su potere e società, e su fenomeni di lunga durata nella storia italiana. Ma quello che più conta sono le deviazioni della storia, quelle che avvengono nei e per i personaggi anche minimi, e che danno fiducia che l’uomo possa farcela. Provvidenza o meno, “per attingere il meglio bisogna farlo accadere” (p.90).
Salvatore Natoli ha riletto i Promessi Sposi in un’ottica particolare, non tanto e non solo letteraria, ma soprattutto da un punto di vista etico e sociologico, esplorando i temi eterni e contrapposti di bene e male, innocenza e colpa, perdono e vendetta, giustizia e sopruso, indagando la psicologia e il comportamento dei principali personaggi manzoniani, e confrontandoli con le modalità di reazione delle vittime e dei carnefici contemporanei. Il male produce sempre un effetto duplice: non solo nella sopraffazione materiale compiuta, ma anche nel trasformare i buoni in cattivi, inducendoli ad emozioni, e spesso ad azioni, vendicatrici e a loro volta colpevoli. Renzo, dopo lo scontro con Don Abbondio, si sente tentato da sentimenti addirittura omicidi, rischiando così di passare dalla parte del torto. Il male infetta, è epidemico e contagioso, ammorba l’animo degli offesi. Natoli distingue tra male patito e male inflitto: il primo (la peste, i terremoti, le carestie) è naturale, inevitabile e innocente; il secondo ha responsabilità umane, è iniquo e pertanto imputabile. Manzoni è maestro nello scrutare la fragilità umana, l’ambiguità esistente all’interno delle strutture sociali ed ecclesiastiche, il dolore degli innocenti così come le nefandezze dei colpevoli. I monatti che lucrano sui morti di peste rimandano alla crudele avidità degli scafisti di oggi. Come rispondere al male, se nemmeno affidarsi alla Provvidenza aiuta? Secondo Natoli “Per riparare all’ingiustizia non vi è altro modo che operare secondo giustizia… Ogni atteggiamento reattivo replica il misfatto, non lo riscatta: lo spirito di vendetta ne è la mimesi”. L’unica maniera per spezzare la catena del male è praticare il bene, rispondendo all’odio con il perdono, come raccomandava Fra Cristoforo a Renzo davanti all’agonia di Don Rodrigo. Rimane ineludibile la domanda: si possono perdonare i reati, o vanno comunque penalmente perseguiti? Perdonare assolve anche il crimine?
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