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scheda di Concilio, C., L'Indice 1996, n. 1
Dietro la rassegna di testi della contemporaneità esaminati da Daniela Carpi, si aggirano come gli spettri di Joyce, che alla posterità ha lasciato da decifrare la sua Babele linguistica, e di Beckett, che nelle sue ultime opere aveva denunciato lo scacco della parola. E come novelli Amleto gli scrittori trattati sono accomunati dall'impegno di riscattare questa impossibilità di narrare. Una parola condannata all'autocritica come ne "Il taccuino d'oro" di Doris Lessing, o nelle opere di John Fowles, in cui il discorso metanarrativo si è appropriato della storia, interrompendola, smentendola, sviandola. Ma il silenzio che minaccia la storia diviene strumento eversivo che si ritorce contro la tradizione. Da questo punto di vista i romanzi di Christine Brooke-Rose, forse più nota in Italia come critica, sono rivelatori sin nei titoli: "Between* (letteralmente "tra"), che allude all'interstizio, all'inter-spazio del viaggio che non conosce approdo, oppure "Thru" (letteralmente "attraverso") dove lo scardinamento della parola è spinto fin quasi all'illeggibilità. Peter Ackroyd e Antonia Byatt, invece, sono entrambi impegnati nella riscrittura del passato: autore, il primo, di biografie fittizie di personaggi letterari di cui è arrivato a imitare lo stile da perfetto falsario; più nota in traduzione, la seconda, per il rinnovamento apportato al romanzo storico. Muriel Spark, William Golding e Iris Murdoch pongono poi l'accento su vari aspetti dell'attuale crisi del linguaggio, sulla necessità di rifarsi alla tradizione anche mitologica per iscrivere il proprio personale discorso (di questo scrittore-creatore) in un'era in cui il soggetto, il plot e il narratore sono stati dichiarati morti o moribondi, e il cui ritorno è simboleggiato da un discorso liminare che s'insinua in una storia spesso già scritta dagli autori del passato. L'ansia della scrittura, questa lotta per scongiurare la perdita della propria identità, accomuna infine scrittori come Anthony Burgess, Julian Barnes, Graham Swift e Martin Amis; come i precedenti, tutti vittime iperconsapevoli di quelle "teorie della ricezione" e di quelle "pratiche decostruzioniste" che la scrittura ha ormai fatto proprie fago-citandole, come indica il romanzo logo-fago della Brooke-Rose: Verbivore.
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