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recensione di Bongiovanni, B., L'Indice 1993, n. 3
17 novembre 1915. Giuseppe Prezzolini annotò nel suo taccuino di guerra di avere dormito in un'osteria per soldati, uno di quei posti dove, per riposare, ci si buttava sulla paglia. Al mattino si ritrovò accanto un tale che disse di chiamarsi Giovanni Ansaldo. Prezzolini, toscanaccio curioso, chiese subito al vicino se apparteneva alla famiglia dei capitalisti. L'altro, forse inaspettatamente, gli rispose di sì, che i suoi fondarono quella famosa fabbrica di cannoni, ma che di loro, alla fabbrica, non era rimasto che il nome. Giovanni Ansaldo portava in effetti con disinvoltura il nome del nonno, scienziato, professore di università a 24 anni, costruttore di locomotive al tempo di Cavour, morto a soli 44 anni nel 1859. Indirizzato dalla famiglia alla carriera di professore di diritto, Ansaldo junior, nato a Genova nel 1895 in una famiglia borghese di gran rango, si votò sin da giovanissimo, con passione divorante e con talento indiscutibile, al giornalismo e alla scrittura. "Nulla dies sine linea" fu, secondo Marcello Staglieno, competentissimo curatore di queste "Memorie" inedite (cui nuoce solo l 'assenza di un indice dei nomi), la divisa cui Ansaldo si attenne per tutta la vita. Si scopre infatti ora che, nonostante l'ordine impartito ai familiari di bruciare tutte le proprie pagine diaristiche, ordine solo in parte eseguito, sussistono di lui, presso il figlio Giovanni Battista, frammenti di diario degli anni che vanno dal 1922 al 1967. Escono intanto queste "Memorie", una sorta di diario a posteriori: usciranno prossimamente, sempre per Il Mulino, ed a cura di Renzo De Felice, i "Diari di prigionia 1944-45".
Interventista nella grande guerra, collaboratore de "Il Lavoro" di Genova, simpatizzante socialriformista, il giovane Ansaldo si tenne in contatto con Salvemini, divenne amico di Gobetti, fu ammiratore di Fortunato ed Amendola. Antifascista della prima ora, ma sempre con vigile scetticismo, polemizzò duramente con la proposta, espressa da Prezzolini nel novembre del 1922 sulla "Rivoluzione Liberale", di dar vita ad una "Congregazione degli Apòti". Era una scelta, questa, che a lui pareva assai più volgare ed inelegante che politicamente inaccettabile. Firmatario del Manifesto di Croce, bastonato dai fascisti, inorridito per l'odiosa gazzarra effettuata dagli squadristi a Milano in occasione della sepoltura della Kuliscioff, Ansaldo, giornalista sempre più affermato, ma privato del passaporto, decise di espatriare clandestinamente dopo il fallito attentato al duce del 31 ottobre 1926. L'espatrio non riuscì. Ansaldo passò allora, mentre il fascismo diventava totalitario, non più di quattro mesi nel carcere di Como e non più di tre mesi al confino nell'isola di Lipari. Poté quasi subito riprendere il suo mestiere. Tra l'ottobre del 1927 e l'aprile 1928 scrisse queste "Memorie" sulla sua recente, e non troppo traumatica, disavventura. Sorprendente per il solipsistico cinismo ad uso privato, egli rese così noto a sé stesso, con un'abilità espositiva quasi entusiasmante, il fatto di non credere più in nulla, di essere ferocemente critico verso gli ormai insopportabili vizi cospirativi dei suoi compagni (Rosselli, Parri e moltissimi altri, con la sola eccezione di Bauer), di rimpiangere l'età giolittiana e l'Italia oligarchica dei vecchi notabili liberali (quella uninominale e con il suffragio ristretto). L'uomo che non voleva, per ragioni soprattutto di stile, essere reclutato tra gli "apòti", si accorgeva ora, dopo la prigionia e il confino, abbandonandosi con sollievo liberatorio e con un pizzico di dandismo autistico ad una scrittura "automatica" e insieme sorvegliatissima, che con gli "apòti"' ontologicamente si identificava. Aderirà al fascismo nel 1935, ma sarà prigioniero dei tedeschi negli ultimi anni di guerra e dirigerà "Il Mattino" dal 1950 al 1965. La pubblicazione di questo testo ci restituisce ora un documento eccezionale della psicologia della borghesia intellettuale italiana.
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