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Questa riscrittura del capolavoro di Sofocle rimodella i personaggi in un orizzonte mutato ma familiare, autentico e audace, in un doppio sguardo che converge nel trionfo dell'emulazione, che, in mano ad artisti abili come Daniele Sannipoli diviene capacità di plasmare il nuovo. Emozionata da questa lettura, che mi ha accompagnato nel sondare aspetti estremamente complessi dell'animo umano.
Cimentarsi con una delle tragedie più discusse e ammirate dell'antichità non era impresa facile, ma l'autore, con una grande capacità stilistica e introspettiva, riesce nella sfida. Pur rimanendo il più possibile fedele all'originale, egli vi immette un respiro moderno, più vicino alla nostra sensibilità. I personaggi, primi fra tutti Creonte, escono dall'eternità del mito: dubitano, soffrono, amano, odiano, uccidono, muoiono, schiacciati dal peso della loro condizione umana, troppo umana. Una lettura che conquista il lettore con sempre più forza, in particolare nel secondo atto in cui ho risentito echi di Albert Camus, Simone Weil e Virginia Woolf. Un'opera appassionante, profonda, meritevole di essere letta e riletta e, si spera, di essere messa in scena.
La rilettura contemporanea di un'opera tanto famosa non era impresa facile, invece l'autore è riuscito a trovare una chiave di lettura che non snatura il mito, ma lo adatta a un mondo nuovo, nel quale mancano le coordinate di quello greco. A risaltare sono i personaggi, drammatici nella loro umanità per una volta rivelata, non solo Antigone con la sua strenua difesa dei principi morali, ma anche Creonte, re di Tebe, dilaniato nel profondo e perduto nella cecità del proprio dolore. Tre atti sempre più incalzanti che alla fine ci regalano, forse, la luce di una tregua. Bello anche il formato scelto per la pubblicazione, pare di leggere un copione teatrale. Intensissimi e commoventi alcuni passi di tenera disperazione.
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