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Ci sono libri nei confronti dei quali il recensore si trova in difficoltà poiché non riesce ad attribuirvi uno statuto preciso: letteratura, saggistica, autobiografia o che altro? Inoltre, molto spesso questi discorrono per interposto argomento, avendone a oggetto uno dichiarato, ma giungendo poi a focalizzare l'attenzione del lettore, più o meno scaltro, su ciò che vi è di intensamente latente. Valori è, nel medesimo tempo, uno studioso, un economista ma, soprattutto, un grand commis d'État, ovvero l'esponente di una élite politica e culturale che nel corso di questi decenni ha silenziosamente governato le sorti della repubblica. Le sue più recenti pubblicazioni, informate a una sincera adesione ai temi affrontati, da tempo, si concentrano sulla storia degli ebrei e dello Stato d'Israele. Nei confronti degli uni come dell'altro, Valori, da cattolico qual è, nutre un afflato morale che si traduce nell'adesione di principio ai valori sia concesso il calembour che secondo la sua opinione questi e quello esprimerebbero per il fatto stesso di esistere. Antisemitismo, Olocausto e negazione, nello sforzo di offrire un repertorio enciclopedico dell'insieme delle questioni che si rifanno al nesso tra ebrei e modernità, è un libro-indice del modo in cui una parte delle classi dirigenti nostrane leggono, riflesse nelle vicende di coloro che furono paria dell'Occidente, il destino prossimo venturo del medesimo non meno che di se stesse. Strano transfert, a onore del vero, che dovrebbe costituire oggetto d'indagine a sé, più che l'oramai consunto (e un po' compulsivo) indagare sui tassi di antisemitismo della destra come della sinistra.
Claudio Vercelli
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