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Un antropologo su Marte. Sette racconti paradossali - Oliver Sacks - copertina
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antropologo su Marte. Sette racconti paradossali

Descrizione


Questo libro di Sacks si situa all'incrocio di biologia e biografia: nelle sue pagine il malato è importante quanto la malattia. I sette capitoli del testo sono narrazioni nelle quali ciascun paziente risalta come persona. Troviamo il pittore di successo colpito da improvvisa cecità ai colori; l'ultimo hippie di New York che un tumore al cervello blocca in una atemporale ripetizione degli anni Sessanta; la paziente autistica che confessa a Sacks la propria difficoltà a comprendere le emozioni umane più complesse esprimendola con la frase: "Il più delle volte mi sento come un antropologo su Marte".
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Dettagli

1995
28 giugno 1995
445 p., ill.
9788845911453

Voce della critica


recensione di Beneduce, R., L'Indice 1996, n. 2

Il libro di Sacks recentemente tradotto da Adelphi conferma la ricchezza e le promesse di un approccio che sarebbe riduttivo mettere sotto il solo ombrello della narrativa clinica. Il successo e lo stile di Oliver Sacks non sarebbero infatti comprensibili per intero se trascurassimo di considerare l'interesse crescente nei confronti del "racconto della malattia" che, soprattutto nei paesi anglosassoni, ha dominato la letteratura medico-antropologica o antropologica tout court degli ultimi vent'anni (si è parlato a questo proposito di literary turn e di fascination of narrative). I suoi dettagliati ma al tempo stesso umani resoconti di sindromi e patologie, l'analisi dei loro concreti effetti sulle persone, vengono costruiti attraverso un ascolto attento, che registra sin nei più contraddittori interstizi l'esistenza quotidiana dei suoi pazienti (dei quali è messa in primo piano la illness, insomma, più che la disease). Questo singolare modo di avvicinarsi all'esperienza della sofferenza gli permette di portare alla luce ciò che altrimenti rimarrebbe inespresso o, come più spesso accade, ai margini semplicemente perché considerato "superfluo" secondo i modelli egemoni della razionalità medica. Young ha analizzato proprio in questi termini il contemporaneo potere della biomedicina: nella sua capacità cioè di silenziare altri nomi o cancellare altre conoscenze.
A questa prospettiva l'autore non può d'altronde essere per intero ricondotto. Sacks è cioè un medico, un neurologo estremamente colto e competente che diagnostica, cura, sperimenta insuccessi, e che registra lacrime e speranze dei suoi malati su pagine dove corrono intrecciate alle prime le parole di quella ricerca e di quella pratica clinica di cui non vengono messi in discussione come potrebbero i fondamenti (tranne che per sottolinearne gli schematismi cartesiani o le diffidenze verso ipotesi e approcci, quelli dello stesso Sacks ad esempio, che non ricalchino il corso della "scienza normale"). Nel descrivere questo, nel "dar voce" ai contraddittori vissuti di un pittore che perde la visione dei colori dopo un incidente, di una paziente affetta da autismo che prova a inventare "macchine per abbracciare", di un chirurgo affetto dai tic e da altri sintomi della sindrome di Tourette (sulla quale Nathan ha attirato in anni recenti l'attenzione), Sacks attivamente trasforma il racconto dei suoi interlocutori "unici" (ed è questo un problema che, trascendendo la tradizione dei "casi clinici", si è imposto al centro del dibattito su authorship e testualità). Per lui esistono le malattie, le stesse in ogni luogo e epoca, che solo col tempo verranno riconosciute come tali da una scienza adeguata.
Il suo sguardo e il suo ascolto rimangono allora spesso catturati dentro una luminosa fenomenologia del rapporto, quasi avventuroso, che stringono quei protagonisti solitari che sono il medico e il paziente, mentre non vengono colti con altrettanta attenzione il contesto istituzionale, i rapporti di forza tra i diversi attori, il difficile accesso alle cure sanitarie di minoranze e poveri negli Stati Uniti, e quant'altro in genere converrebbe non più dimenticare quando si esplora l'accidentato territorio della salute e della malattia. Se questo costituisce un limite nella sua opera, rimane indiscusso il pregio di una scrittura che sembra aver realizzato una sorta di prodigio là dove dimostra come l'approccio narrativo alla malattia rappresenti una risorsa decisiva nel costruire una biografia dotata di significato; ma un altro prodigio di sintesi fra voci e linguaggi diversi è realizzato, con la naturalezza di cui gli scrittori anglosassoni danno sempre lezione, a un altro livello: il mind-body problem, il dilemma fra attività volontaria e involontaria, e altre questioni propriamente "epistemologiche" (nel senso che questo termine ha nella cultura statunitense), fanno capolino discreto fra interrogativi diagnostici e vissuti della malattia. Dentro questi sette racconti, che "paradossali" sono però solo se si leggono dal luogo della ragione medica e del suo dispositivo retorico (per il quale "salute" e "malattia" possono essere concepite soltanto come entità antinomiche), spiccano quelle metafore dense e irriducibili, dotate di uno strano potere, che i pazienti speso ci offrono quando parlano delle loro esperienze. In esse, sembra dirci l'autore, si celano le tracce da seguire per comprendere, forse meglio che attraverso ogni altra teoria o esame diagnostico, l'altrui domanda e la complessa condizione di chi sperimenta la rottura di quell'involucro invisibile che è la salute e la normalità. È l'uso di queste stesse metafore che ci permette talora di sostenere il paziente anche laddove l'unica soluzione possibile (ciò che la scienza medica per prima fa fatica ad ammettere) è apprendere a convivere con i limiti che la malattia innalza, cogliendo tutto quanto in lui si dispiega e vive nonostante la malattia.

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Conosci l'autore

Oliver Sacks

1933, Londra

Oliver Sacks, nato a Londra in una famiglia di fisici e scienziati - il più giovane di quattro fratelli di una coppia ebrea -, è stato neurologo e scrittore. In Gran Bretagna frequenta il Queen's College a Oxford dove consegue Bachelor of Arts nel 1954 in fisiologia e biologia. Presso la stessa università, nel 1958, intraprendendo un Master of Arts, ottiene una laurea in medicina e chirurgia, che gli permette di esercitare la professione di medico. Lascia l’Inghilterra per trasferirsi prima in Canada e poi negli Stati Uniti nel 1965. Professore di Neurologia clinica presso l’Albert Einstein College of Medicine e di Neurologia alla New York University School of Medicine ha iniziato la sua attività di divulgazione scientifica descrivendo le sue esperienze...

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