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Il lavoro storiografico é sempre soggetto ad un transfert ed anzi lo storiografo é un analista che scopre possibili sensi agli eventi proprio attivando i necessari controtransfert rispetto alle affezioni che essi suscitano. Nel caso della ricostruzione monografica tale dispositivo analitico appare ancor più necessitato dal momento che, tanto più se il personaggio sottoposto ad analisi é a noi prossimo, i rischi possibili sono o in una eccessiva adesione all'oggetto d'analisi o in un suo totale tradimento, tra una critica radicale ed una interpretazione spinta sino al fraintendimento. Rosario Di Petta sfugge sicuramente tali pericoli. Egli appartiene ad una generazione che non ha più maestri, o che forse ne ha tanti da non averne nessuno. Franco Purini, come me, appartiene invece ad una generazione che ha negato i propri maestri. L'uno, rivolto quindi del tutto disincantato alla ricerca di possibili riferimenti e l'altro teso a sfuggire ancora le proprie paternità, non potevano che essere destinati all'incontro. D'altro canto l'opera di Purini, un architetto il quale, oltre la possibile testimonianza di sé, compone una architettura sempre al presente, presentificando storia e futuro, non può non suscitare l'attenzione di un giovane studioso il quale operi a sua volta, nell'aperto mare della ricerca, con strumenti che appronta di volta in volta da solo, in un orientamento privo di interrogazioni sulle rive abbandonate o sui possibili approdi. Perché Purini infatti? Perché non un architetto del passato, anche recente, estraneo alle nostre possibili affezioni, con i suoi bravi dati d'archivio già ordinati o da ordinare, di per se stessi motivo di orientamento? Perché non un architetto à la page, uno dei tanti divi delle nostre patinate riviste con cui condividere l'effimero successo? La risposta si rivela nello stesso testo approntato da Di Petta, duale, secondo i tanti dualismi che egli apprende da Purini, quasi che abbia scelto di proposito un maestro di eresie onde coglierne, a proprio insegnamento anche, l'a
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