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In un mondo di ”usa e getta” l’autore ha la fortuna di possedere un “Archivio domestico” tutto suo, attraverso il quale rievoca a noi e conferma a se stesso la sua storia, dalla nascita all’adolescenza nel contesto storico e sociale dell’epoca. Certamente dopo la lettura meglio si comprendono “il Bestiario” e “l’Erbario”. Alfio fanciullo curioso, tutto natura nella natura, tutto memorizza con stupore, permeandone il suo carattere, la sua personalità già ben strutturati dall’educazione paterna e dal regime. Nella natura il suo essere si espande libero sempre, fino a farne oggi un alfiere della libertà. La narrazione scorre fluida, avvincente, nulla trascurando sia nell’evocazione del fascismo, sia dei suoi primi turbamenti adolescenziali, Anche nell’orrore degli avvenimenti bellici prevale sempre la speranza che, nonostante tutto, la vita è bella e degna di essere vissuta. Grazie Centin di ricordarci che la nostra libertà di oggi è frutto del cambiamento di ieri e che il domani sarà certamente il cambiamento di oggi. Che speranza! E….. grazie ancora, come uomo di scuola, di aver ricordato con tanto affetto e stima il tuo maestro!
Archivio domestico di Alfio Centin Una vicenda di vita vissuta: Alfio Centin presenta la propria in una lingua agile, le cui frasi dalla verve elegante, che talvolta rasenta lo humor inglese, accompagnano il lettore alla scoperta di un mondo che sembra lontano da quello attuale. Il tema è oramai diventato comune alla letteratura dell’ultimo novecento e inizio del 3° millennio: si tratta di una rivisitazione della propria vita, dall’infanzia all’adolescenza, dentro un panorama della piccola patria che, nella fattispecie, passa dai paesaggi valligiani dell’Ossola, alla terra veneta, sia di città che di paese, seguendo le vicissitudini della propria famiglia. Nel racconto, vivace e tutto costellato di piccoli quadri descrittivi, fanno capolino note di costume, di folklore, in uno stile apparentemente colloquiale, dove il rigore scientifico e nervoso del racconto è mascherato dal suo presentarsi bonario, mentre spesso è caustico e dissacrante. E’ quella di Centin la testimonianza di un ragazzo che vive in prima persona le contraddizioni del fascismo giunto al suo apice, che è poi l’inizio della sua rovinosa e rapida decadenza e dissoluzione, a causa di una guerra assurda, ma perseguita e voluta dal suo capo e dal suo entourage. Le riflessioni e i giudizi espressi, essendo a posteriori, risentono dell’esperienza di un adulto; che vive dentro un particolare ambiente socio-politico, il quale non può essere certo quello del giovane. Questi agiva infatti la sua vita giorno dopo giorno, con le illusioni e le delusioni del momento, peraltro a volte trasposte in modo distaccato; e questo è un merito dell‘autore. Poetico è il secondo capitolo, riferito a un momento di rapimento panico, vissuto dal vivace ragazzo, dentro al grande abbraccio della natura trevigiana. Si tratta del periodo di sfollamento della famiglia dalla città alla campagna; che va dal 7 aprile 1944, giorno della strage provocata dal bombardamento terroristico anglo-americano su Treviso, alla fine del
Molto interessante la “contaminazione di generi” che, lungi dall’appesantire la narrazione, offrono un ancoraggio alla realtà e una chiave di lettura per comprendere un’epoca tanto lontana dall’esperienza dei “figli del dopoguerra”. Solo un appunto critico. A mio parere la scrittura a volte inciampa in termini “fuori contesto”, ricercati, che risultano troppo acuti, quasi stonati. Ma è un peccato veniale.
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