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Come Savinio e Viani, Ardengo Soffici è figura di artista novecentesco diviso fra letteratura e pittura; e come loro profondamente segnato dalla giovanile esperienza parigina. Su questa duplicità e su questo orizzonte internazionale non si sofferma la monografia di Bartolini, che preferisce concentrarsi sulla scrittura e in particolare sulla prosa (solo di striscio si parla della famosa raccolta lirica del 1915 Bïf§zf+18 Simultaneità e chimismi lirici). Entro questi limiti il profilo di Soffici è allora unitario, sotto il segno di una scrittura autobiografica che tende a esaurire in sé tutto il narrabile e tutte le varianti di letteratura: i volumi dell'Autoritratto d'artista italiano sono in tal senso esemplari; ma anche le prove apparentemente romanzesche (da Lemmonio Boreo a Kobilek) si presentano in realtà come diari, solo in superficie mascherati da racconti oggettivi. L'autobiografismo ossessivo di Soffici spiega anche l'orgogliosa insistenza fin dal periodo parigino sulla sua "toscanità" e sulla grande tradizione toscana: in questa chiave, più tardi, egli rivendicherà i concetti di "italianità" e "classicismo" considerando il fascismo come l'ideale incarnazione politica della propria estetica. È un percorso che va dalla "rivista-persona" intitolata "Rete Mediterranea" ("uno zibaldone di generi finalizzato all'auto-rappresentazione" e gestito interamente da Soffici) fino alla memoria Miei rapporti con Mussolini, pubblicata postuma, che documenta un utopico tentativo di "paideia" nei confronti del duce, per "educarlo all'arte e all'estetica" e fare così del "principe" il portavoce dello stesso Soffici. Il fallimento del progetto e la disillusione culminata nell'"abisso" della seconda guerra mondiale faranno di Soffici scrittore un sopravvissuto e un marginale. Sarà alla pittura che egli dedicherà le migliori energie.
Rinaldo Rinaldi
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