L’Eccidio delle Fosse Ardeatine, avvenuto il 24 marzo 1944 a Roma, rappresenta una delle pagine più drammatiche dell’occupazione nazista in Italia. In rappresaglia all’azione partigiana in via Rasella del giorno precedente, le forze tedesche fucilarono 335 civili e militari italiani – fra cui ebrei, detenuti politici, comuni e oppositori – in una cava abbandonata lungo la via Ardeatina. Il crimine si caratterizzò per la sua brutalità, la scelta del luogo occulto e l’assenza di un processo regolare, incarnando la ferocia della politica di occupazione.
La saggistica sul tema esplora non soltanto la ricostruzione dettagliata degli eventi – la bomba di via Rasella, la scelta della cava, l’elenco delle vittime – ma anche la dimensione più ampia della rappresentazione del male collettivo, della responsabilità civile e del linguaggio della memoria. Questo evento viene letto come simbolo della dissociazione tra legalità proclamata e terrore praticato, e della condizione in cui lo Stato occupante e i suoi collaboratori implementano meccanismi di dominio attraverso la violenza indiscriminata.
Studiare l’Eccidio delle Fosse Ardeatine significa confrontarsi con una ferita che appartiene alla storia nazionale, ma anche con questioni universali: il rapporto tra resistenza e violenza, tra vittime civili e responsabilità politiche, tra memoria storica e costruzione di senso. Oggi, l’Eccidio continua a interrogare la nostra capacità di trasformare la commemorazione in impegno civico e culturale.