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Anno edizione: 2007
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Titolo: L'arte di guardare gli attori Manuale pratico per lo spettatore di teatro, cinema, televisione Autore: Claudio Vicentini Editore: Marsilio Anno: 2007; cartone edit. con titoli al dorso e sovrac. ill., data d'appartenenza - prima edizione - illustrazioni in b.n. nel testo; OTTIME CONDIZIONI
Una sfida divertente, un ossimoro annunciato fin dal titolo, che mette insieme il concetto di arte e quello di manuale pratico. La dedica agli amici del Drama Department della New York University ribadisce che il raffinato pragmatismo teatrologico laggiù utilizzato soprattutto nell'ambito eterogeneo della performance, e conosciuto dall'autore in un favoloso soggiorno all'inizio degli anni settanta, è qui applicato alle forme spettacolari più comuni di oggi. La "disperata arte di guardare gli attori", dichiara subito Vicentini, definisce un compito impossibile e necessario, impossibile perché non esiste manuale che possa trasmettere un'arte e necessario perché la decadenza dell'"arte dello spettatore" (secondo la nota definizione di Brecht) è la principale causa della deriva culturale che investe il teatro, il cinema e la televisione, e che comporta una recitazione sempre più semplificata e stereotipa. Per non subire passivamente questo stato di cose prima di analizzare i tempi e i modi di produzione concernenti l'arte attorica, nonché il palinsesto pubblicitario che ormai ne costituisce le fondamenta , Vicentini suggerisce di procedere all'osservazione meticolosa di esempi alla portata di tutti (per esempio la televisione italiana di oggi) e di metterli in relazione con le tradizioni e le convenzioni recitative dell'Occidente moderno. Il disincanto ironico dell'autore rende leggera la sua erudizione e facile, nonché altrettanto divertente, la lettura. In questo senso la sfida è vinta, il disegno illuminista di fare chiarezza sui processi e sull'universo espressivo che si è venuto formando negli ultimi decenni è pienamente riuscito. Di sicuro molti studenti brinderanno commossi all'eccezione di un libro che permette di comprendere facendosi comprendere.
La formazione filosofica di Vicentini, affinata nelle aule performatiche newyorchesi e tradotta in italiano impone che l'erudizione sia trattenuta sotto pelle, la terminologia specialistica volta in un linguaggio piano e in un testo senza note e complicati rimandi. I nove capitoli sono fitti di aneddoti e utili ripetizioni, secondo uno schema pressoché fisso: ogni tema è illustrato con esempi attuali alla portata di tutti, a ciò segue un breve excursus su come il problema si pone sulla scena europea a partire dal Settecento, soprattutto nella trattatistica e nelle memorie d'attore. Per insegnare a "leggere la recitazione" l'autore punta l'attenzione sull'utilizzo degli oggetti e dello spazio, sull'impiego degli stereotipi e sul personaggio inteso come tipo o come individuo, sull'immedesimazione e i diversi procedimenti per ottenerla, sulle sensazioni fisiche e l'inconscio del personaggio. Segue un'analisi delle due principali "scuole", quella dell'immedesimazione, basata sul fingere, e quella basata sull'"imitazione", in sostanza derivata dal metodo delle azioni fisiche di Stanislavskij. Dietro ogni scelta concettuale si avverte sempre la cura di mettere in evidenza la complessità dell'artigianato, e dunque della preparazione, che rende possibili le varie soluzioni espressive.
Il sesto capitolo si sofferma sulle tecniche dell'imitazione (Grotowski preferiva il termine "composizione"), oggi decisamente le più diffuse, ovvero sulla tendenza a "indicare" il personaggio, cosa che comporta, tra l'altro, un minore uso degli oggetti rispetto all'immedesimazione. Da ciò dipende l'attuale preminenza degli attori che una volta si definivano "caratteristi", nonché la tendenza a creare "tipi" anche per produrre effetti comici e scene d'orrore.
I passaggi di maggior interesse si hanno quando si arriva ai piani alti dell'edificio e il panorama si fa ampio e variegato, vale a dire nel momento in cui si riconosce che i due modi della recitazione, quello che privilegia il processo interiore e quello orientato invece verso la composizione formale, nel concreto lavoro dell'attore finiscono con l'intrecciarsi. A quel punto l'autore è in grado di proporre anche alcune pertinenti osservazioni su figure nuove come l'attore narratore o su temi difficili da mettere a fuoco come la "presenza dell'attore", a proposito della quale si spiega che non si tratta di un fenomeno misterioso, ma dipende dall'uso della concentrazione e dal controllo che l'attore esercita sul tempo e sui tempi, i ritmi.
Il penultimo capitolo è dedicato al rapporto tra scena dal vivo e cinema, e assai interessanti sono le conclusioni, un vero e proprio punto di partenza per chi volesse impegnarsi nello sviluppo della propria arte, attorica o di spettatore, per esempio padroneggiando la "recitazione passiva", come fanno l'antipatico John Wayne, o i giustamente divi Humphrey Bogart e Clint Eastwood.
Antonio Attisani
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