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Anno edizione: 1991
Anno edizione: 2023
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recensione di Cavaglion, A., L'Indice 1992, n. 1
In varie sedi Asor Rosa aveva già dimostrato, in un modo che non si può non definire persuasivo, che la stessa scelta del titolo per la dissertazione di Carlo Michelstaedter ("La persuasione e la retorica") era legata a questo dimenticato libretto prezzoliniano, ora opportunamente ristampato, ma uscito in prima edizione nel 1907, un anno avanti la tesi del goriziano. Due sono i modelli di "persuasione", a detta di Asor Rosa, l'un contro l'altro armati alla convinzione prezzoliniana che ogni teoria sulla comunicazione non possa che essere fondata sulla menzogna, Michelstaedter avrebbe opposto "il diritto di ognuno di non farsi convincere e di non convincere", ovvero l'impossibilità di fondare una teoria della comunicazione sulla verità.
Di qui l'importanza che Prezzolini riserva alla pubblicità di tipo americano e quindi al giornalismo, regno supremo dei 'suasores'. Di là invece, dall'eco lontana del suicidio michelstaedteriano, discenderebbe l'orgogliosa superiorità dei persuasi da una persuasione positiva, antiretorica. C'è un po' di schematismo in questo albero genealogico della "persuasione" novecentesca, anche là dove, nell'introduzione, Asor Rosa individua nella persuasione negativa di Prezzolini l'origine di una genia di giornalisti che da Giuliano il Sofista fino ad Ansaldo, Benedetti, Montanelli, Bocca, Scalfari si protende fino ai nostri giorni: costoro, secondo Asor Rosa, avrebbero portato a compimento la premessa vociano-prezzoliniana, una tradizione sempre in bilico fra reazione e progressismo, conformismo e anticonformismo, che non s'immischia e non si sporca, che cerca sempre "di far andare la barca di qua e di là, secondo logiche che non devono render conto a nessuno". Tutto probabilmente vero, anzi verissimo; ma non è questo un omaggio del tutto gratuito e retorico alla "retorica"? Michelstaedter sarebbe stato più contento se Asor Rosa avesse esteso la genealogia dei reprobi anche al di fuori della cerchia dei suoi avversari politici.
Quanto al concetto di "persuasione", mentre è del tutto documentabile ciò che si dice della corrente prezzoliniana, non è affatto detto che tutti i persuasi dalla persuasione di Michelstaedter siano stati inevitabilmente dei progressisti e degli anticonformisti. Da un lato vi è per esempio Aldo Capitini, che negli "Elementi" ed anche nell'"Antifascismo fra i giovani" porta a compimento, lui sì in senso antifascista e moderno e antiprezzoliniano, l'intuizione del goriziano e sviluppa in direzione nonviolenta e pacifista il concetto originario di "persuasione". Inquieta, invece, che nello stesso giro di anni in cui Capitini rileggeva "La persuasione e la retorica", anche Julius Evola riconoscesse Michelstaedter come suo maestro venerato. C'era forse qualche "vizio di forma" anche nella persuasione di segno positivo? Evola provvede infatti a deviare il senso di marcia verso il dogmatismo e l'assolutismo senza necessariamente sfociare nella persuasione delle menzogne utili prezzoliniane. E allora? Come si dovrà ammettere che oggi non vi sono più persuasi ma solo retori, così si dovrà riconoscere che, ieri, vi sono stati dei retori anche fra i persuasi.
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