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Giurista ed esperto in diritto ecclesiastico, storico di fama e collaboratore della "Stampa", Jemolo è stato, come ha affermato Galante Garrone, uno dei più importanti intellettuali del Novecento. A lui Fantappiè, docente di diritto canonico a Urbino, reduce dal monumentale lavoro su Chiesa romana e modernità giuridica (Giuffrè, 2008), dedica questo volume che conferma l'attenzione già manifestata precedentemente nei confronti dell'uomo di cultura torinese.
Il libro non si pone l'obiettivo di una biografia intellettuale di Jemolo, ma intende approfondire il suo rapporto con alcuni protagonisti della crisi religiosa del secolo scorso, e in particolare con Ernesto Buonaiuti e Aldo Capitini. Imparentato per via materna con Felice Momigliano, "ebreo modernista" e amico di Buonaiuti, da cui assunse originali spunti culturali e religiosi, Jemolo, già allievo del liberale Francesco Ruffini e sensibile all'insegnamento di Piero Martinetti, nei primi anni venti, insieme ad alcuni giovani, si strinse intorno al sacerdote in un cenacolo spirituale (la cosiddetta Koinonía): con lui c'erano, tra gli altri, Donini, Pincherle e Niccoli, convinti che il "maestro" rappresentasse una guida spirituale in grado di ravvivare la fede cristiana e di rispondere alle inquietudini religiose. Dal 1925 vi è un rarefarsi degli incontri e l'inizio dei distinguo tra i due pensatori, che continuarono a rimanere in contatto attraverso scambi epistolari: mentre Buonaiuti, infatti, sosteneva la necessità di diffondere cenacoli spirituali per rivivere l'esperienza del primo cristianesimo, Jemolo giudicava che il rinnovamento religioso dovesse muovere dall'autorità ecclesiastica. Si trattava dello scontro tra una visione carismatica e una istituzionale della chiesa e della messa in discussione da parte del giurista del mito delle comunità delle origini. Del resto Jemolo sarebbe arrivato alla conclusione che il modernismo fu una risposta inadeguata alla crisi del cattolicesimo contemporaneo, anche se egli volle trarre dall'insegnamento del sacerdote scomunicato la rivendicazione della separazione tra i valori religiosi e quelli politici, e della supremazia della "coscienza laica".
La collaborazione culturale di Jemolo con il fascismo nacque proprio dalla convinzione che il regime potesse svolgere una funzione di difesa dello stato laico ma, come la maggior parte dei cattolici, anche il giurista si allontanò dal mito mussoliniano con l'avvicinarsi dell'Italia alla Germania. La sua concezione laica dei rapporti tra i due poteri, che lo portò sempre a rivendicare uno spirito anticoncordatario, sarebbe poi emersa con la vicinanza al Partito d'Azione e con la pubblicazione nel 1948 del famoso libro Chiesa e Stato in Italia negli ultimi cento anni. Nel secondo dopoguerra Jemolo si confrontò poi con figure come Aldo Capitini e Ferdinando Tartaglia, impegnati nel dibattito sul rinnovamento religioso in Italia, e aderì all'Associazione per la libertà religiosa promossa da Salvemini. Il giurista volle però ancora ribadire la sua fedeltà alla chiesa di Roma e la speranza di poterla rinnovare dall'interno; tali aspettative parvero concretarsi con la salita al soglio pontificio di Giovanni XXIII, tanto è vero che Jemolo definì il Concilio "la speranza di una nuova primavera della cristianità".
Daniela Saresella
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