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scheda di Bertini, M., L'Indice 1991, n. 9
Il dibattito sulla poetica proustiana è da sempre orientato verso l'individuazione di fonti e ascendenze ancor più filosofiche che letterarie: dalle memorabili pagine di Tilgher sul "platonismo" proustiano, degli anni trenta, alle prime, coeve letture in chiave bergsoniana e schopenhaneriana, sino all'ingegnosa tesi di Anne Henry che, tra gli anni settanta e gli anni ottanta, ha additato nell'opera intera di Proust una coerente 'mise en situation' della schellinghiana "filosofia dell'identità". Marco Macciantelli si inserisce in questo filone con un ampio e denso lavoro che, partendo dalle traduzioni e dai saggi del periodo ruskiniano per giungere sino alla "Ricerca", si propone di mettere a fuoco un'implicita, sotterranea affinità di Proust con l'estetica del primo romanticismo. Quanto di tale affinità sia riconducibile a influenze - per lo più indirette, mediate attraverso una linea che va da Coleridge a Baudelaire a Walter Pater e a Oscar Wilde - è una questione che rimane irrisolta e, forse, irrisolvibile. Nelle pagine di Macciantelli, comunque, il "Libro" in cui il narratore del "Tempo ritrovato" si dispone a racchiudere la verità, finalmente luminosa, del proprio passato, viene persuasivamente a sovrapporsi all'immagine, delineata dal giovane Friedrich Schlegel, del romanzo come "enciclopedia dell'intera vita spirituale di un individuo geniale". È la metaforica del libro, sulle tracce di Hans Blumenberg, a fornire a Macciantelli il filo conduttore della sua indagine: la decifrazione del "Libro interiore di segni sconosciuti", da cui il narratore della "Ricerca" prende le mosse, alla fine del "Tempo ritrovato", per trasformare la propria esistenza passata in romanzo, viene a configurarsi, in questa prospettiva, come una rinnovata versione di quel "progetto di simbolizzazione universale del mondo" che aveva trovato in Novalis e nel giovane F. Schlegel i suoi teorici più audaci. Altri motivi riprendono ed elaborano quest'idea centrale del saggio: spicca, tra quelli più compiutamente sviluppati, la contrapposizione tra il progetto romanzesco proustiano, ancorato alla memoria, e la versione del "Libro assoluto" perseguita invece da Mallarmé in una dimensione programmaticamente atemporale. Altro tema di grande suggestione è il complesso rapporto creazione-lettura in cui Proust riprende, secondo Macciantelli, la "proficua confusione" tra autore e lettore teorizzata a suo tempo da Novalis.
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