La figura del fotografo tedesco August Sander gode di una fortuna critica paragonabile a quella di pochissimi altri autori storici. In Piccola storia della fotografia (1931) Walter Benjamin ne ha fissato in qualche modo il canone, sottolineando come la sua opera offra "materiale inesauribile" per una riflessione sui "mutamenti di potere, come quelli che da noi ormai s'impongono" e vada in tal senso utilizzata come un "atlante su cui esercitarsi". L'analisi di Barbara Fässler si concentra sul metodo di Sander, a partire dall'elaborazione del progetto Menschen des 20. Jahrhunderts. L'autrice muove da una riflessione sull'approccio del fotografo: sul suo modo di affrontare la relazione con il soggetto ritratto, e sul sistema di categorie logiche utilizzato per organizzare le immagini all'interno di uno studio sistematico della società tedesca (progetto che non riuscì mai a portare a compimento). La questione del nesso tra "archivio e conoscenza" è posta alla base di tutto il ragionamento, a partire da alcune considerazioni di ordine generale, ma ricondotte a specifici nodi della teoria fotografica, sul metodo scientifico induttivo-deduttivo e sulla scivolosa nozione di "oggettività". La verifica di queste premesse è condotta sul territorio, massimamente ambiguo, del genere-ritratto, sintomatico luogo di confine tra soggetto e oggetto: in Sander l'arte del ritratto sembrerebbe esprimersi principalmente come un equilibrio instabile tra sensibilità (soggettiva) per il particolare e capacità (oggettiva) di offrirne una interpretazione generale. Le parti centrale e conclusiva del saggio s'interrogano dunque sulle nozioni di "tipologia" e "archivio", esaminando la struttura del progetto sanderiano, la sua suddivisione in cartelle tematiche relative ai diversi strati sociali, l'utilizzo trasversale di alcuni ritratti rispetto alle suddette categorie e, di conseguenza, il ruolo nodale (ma talvolta contraddittorio, nei casi forse più interessanti tra quelli trattati) che nel progetto rivestono le didascalie delle immagini (realizzate dal fotografo a partire dal 1925, negli anni della Repubblica di Weimar, e poi sotto il nazismo). Qui (quasi a segnalare una sorta di aporia interna, in effetti cruciale nell'opera di Sander) il testo sembra esibire al contempo la sua maggiore densità teorica e i suoi punti critici. Alcune affermazioni possono talvolta sembrare perentorie o apologetiche: non è sostenibile, ad esempio, anche solo in virtù di altre interessanti e acute riflessioni proposte, che il progetto di Sander sia da considerare "l'archiviazione più sistematica che sia stata fatta in fotografia"; così come può lasciare qualche dubbio l'interpretazione formalistica di talune immagini o addirittura dell'intera opera del fotografo ("ciò che salva il lavoro di August Sander, a mio avviso, è proprio la bellezza formale dei suoi ritratti, le loro sfumature differenziate, che indirizzano contraddicendo la sua stessa costruzione categoriale la fruizione verso la ricchezza e la conseguente bellezza dell'individuo"). Dubbi che, comunque, nascono da domande importanti che questo scritto si pone, e che offre come utili chiavi d'accesso alla fotografia e a uno dei capisaldi della sua storia. Giacomo Daniele Fragapane
Leggi di più
Leggi di meno