Le date che scandiscono la lunga vita del primo imperatore romano sono 63 a.C. e 14 d.C. A duemila anni dalla morte di Augusto, una mostra nelle scuderie del Quirinale documenta l'anniversario. Il bimillenario della nascita cadde invece all'apice del regime fascista, nel 1937, e fu celebrato con una mostra pomposa. Se nella mostra alle scuderie si avvertiva la mancanza di una sezione introduttiva sull¦evento del 1937, vi rimedia, nel catalogo pubblicato da Electa, un saggio di Andrea Giardina. L'autore traccia i parallelismi tra Augusto e Mussolini, richiama le trasformazioni urbanistiche e architettoniche in funzione propagandistica e accenna anche a quei capi 'barbari' che in Germania o in Francia divennero simboli nazionalistici in funzione antiromana. Elegantemente curato e illustrato con fotografie eccellenti per scelta e qualità, il catalogo di
Augusto si rivela uno strumento equilibrato per approfondire i temi della mostra, senza essere né superficiale né troppo specialistico, evidenziando un filo rosso dell'esposizione a integrazione dell'allestimento. Cosí, la complicatissima genealogia augustea è affidata, nella mostra come nel catalogo, a tavole riassuntive con cui ci si può divertire a seguire il vertiginoso intreccio di matrimoni e adozioni. Gli studi più recenti tendono a superare l'immagine granitica di una letteratura di età augustea piattamente encomiastica, con il bando di voci dissonanti come quella ovidiana. Alessandro Schiesaro ricostruisce un contesto articolato, nel quale si riscontra un "coinvolgimento costruttivo" dei letterati. Anche il giudizio, di marca ovidiana, di un Augusto lettore ottuso sarebbe da correggere in base a fonti più distaccate. Il saggio di Gilles Sauron presenta invece un Augusto decisamente intenzionato a manipolare i miti e la loro applicazione figurata nei monumenti, con un'avversione per il mito greco cui le
Metamorfosi ovidiane sarebbero una risposta critica. In questa manipolazione rientra anche la dimensione astrale connessa con la data di nascita dell'imperatore, come racconta Nunzia Barbone, con un forte investimento comunicativo per attribuire valore religioso e mitico alla ricorrenza. Partendo dalla celebre frase attribuita da Svetonio ad Augusto, di aver cioè ricevuto una città di mattoni e averla trasformata in marmo, Eugenio La Rocca contestualizza l'intervento di Augusto sulla città, ricordando che alla potente Roma del II secolo a.C., già dominatrice del Mediterraneo, non corrispondeva sul piano architettonico e urbanistico una città monumentale. Al contrario, essa si presentava ancora come un centro arcaico con architetture sgraziate e decorazioni in terracotta che in Grecia non si vedevano più da quattro secoli. La prima grande trasformazione della città avvenne con Cesare, anche se i suoi progetti, stravolgenti la compagine urbanistica attuale, non furono realizzati per la morte dell'uomo politico. Apparentemente in controtendenza rispetto ai piani cesariani, con abile promozione politica, Augusto ridisegnò completamente l'area del Campo Marzio. Novello Romolo (la cosiddetta capanna del mitico fondatore fu fatta inglobare nella propria dimora), Augusto fece del proprio Foro una straordinaria messa in scena della grandezza e dell'eternità di Roma attraverso i suoi
summi viri, adeguatamente privati dei loro lati discutibili. I saggi in catalogo fin qui menzionati rappresentano una sintesi godibile, che si può completare, per desiderio di approfondimento sugli stili architettonici, con il contributo di Alessandro Viscogliosi. Alla celebre statua loricata di Augusto, ritrovata presso la villa di Livia a nord di Roma, riconosciuta come copia di un originale bronzeo, dedica un saggio approfondito Parisi Presicce, dove si analizza con cura il programma iconografico della corazza e l'iconografia della statua, su cui ormai ci sono opinioni concordanti. Nessuno, credo, oggi si sognerebbe di definire la produzione figurativa dell'età augustea con termini negativi, i criteri di giudizio su di essa da decenni sono altri; citare Buschor, peró, che parlò dell'Augusto come "il grande capolavoro della nostra era", non serve allo scopo, essendo Buschor un formalista, devoto di Winckelmann. In catalogo, ai saggi generali qui menzionati (che non volevano certo esaurire il tema della figura di Augusto e il suo contesto quanto piuttosto, mi sembra, offrire al lettore approfondimenti sui temi della mostra) segue una seconda parte in cui sono schedati i materiali esposti, suddivisi in sezioni, ciascuna preceduta da puntuali saggi tematici. Molte informazioni sull'imperatore si desumono dai singoli contributi, forse, però, un profilo storico riassuntivo delle tappe principali del
princeps non sarebbe stato superfluo. La sezione che si occupa di Ottaviano e della fine della repubblica romana è documentata da alcuni dei più bei ritratti tardorepubblicani (il
Cesare di Torino, il
Pompeo di Venezia e un superbo
Crasso dal Louvre). La conquista del potere assoluto di Ottaviano, ora Augusto, viene poi ripercorsa e illustrata non solo da ritratti di qualità elevata dell'imperatore e della sua famiglia, ma da terrecotte (le lastre cd. Campana) e gemme (abbastanza inutili quelle della collezione Santarelli, la cui iconografia non è rilevante). È Paul Zanker a raccontarci come l'uso e la manipolazione delle immagini siano stati strumenti essenziali di Ottaviano nella trasformazione del sistema repubblicano in governo autocratico: magnifici ritratti (quello bronzeo da Meroe e la statua equestre del museo di Atene), gemme e cammei superbi costituiscono la parte più spettacolare della mostra e viene dato loro giusto risalto nel catalogo. Spetta a Pollini, esperto della ritrattistica augustea, accompagnare il lettore nella non sempre facile identificazione dei membri della famiglia Giulio-Claudia. Tra i saggi introduttivi alle sezioni, si segnala ancora l¦articolato contributo di La Rocca, dedicato ad un tema di grande rilievo quale la valutazione della cultura figurativa romana tra la fine del I secolo a.C. e il I d.C.: uno dei punti nevralgici dell'arte romana stessa. Oggi non credo siano più ammissibili giudizi negativi sull'arte romana (tra l'altro, quelli di Bianchi Bandinelli sull'arte augustea erano fortemente influenzati dalla sua visione marxiana) e concordo con La Rocca sulla nascita di un nuovo stile: forse però parlare di "nuova classicità" sembra riduttivo di fronte alla poliedricità del linguaggio figurativo di quest'epoca.
Marcello Barbanera