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Descrizione


Un'aggiornata difesa della psicoanalisi contro tutte le critiche scientiste che negli ultimi anni le sono state mosse.
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Dettagli

1995
29 settembre 1995
284 p.
9788842047308

Voce della critica

STORLOW, R.D. / ATWOOD, G.E., I contesti dell'essere. Le basi intersoggettive della vita psichica

GREEN, ANDRé, L'avvenire della psicoanalisi e la causalità psichica
recensione di Mancia, M., L'Indice 1996, n. 9

Il volume di André Green contiene le tre lezioni, ampliate, che l'autore ha tenuto all'Università di Roma per invito della Fondazione Sigma-Tau. Esse riguardano il doppio determinismo, naturale e culturale, della causalità psichica e la proposta di una "nuova introduzione alla psicoanalisi".
Nella prima lezione il tema centrale è quello della relazione cervello-mente. Lo studio del primo è oggettivo, mentre quello della seconda non può che essere soggettivo; fa eccezione l'inconscio che presenta una qualche forma di oggettività ma che, nel contempo, può diventare soggettivo in virtù di un lavoro in 'après coup' (che traduce il termine tedesco 'Nachträglichkeit' e che in italiano suona come un rivivere a posteriori un'esperienza passata, attraverso una ritrascrizione della memoria). Tra cervello e coscienza si pone la rappresentazione della pulsione che, in quanto concetto limite tra psichico e somatico, permette un dialogo tra le scienze naturali e la psicoanalisi.
Ma non sono le neuroscienze che possono occuparsi della mente. Non quelle che paragonano il cervello di una gallina a quello di un romanziere (Steven Rose), ma neanche quelle di Gerald Edelman che idealizzano la capacità del cervello ma non colgono il ruolo degli affetti. Lo stesso tipo di critica Green muove a Jouvet, che parla, da neurofisiologo, di sogni, senza però dire nulla su quanto è essenziale nel sogno e cioè il suo rapporto con il desiderio. Neanche i biologi delle passioni (J.D. Vincent) sono in grado di dire che rapporto ha il piacere (indotto sperimentalmente) con la pulsione. Tuttavia Green ammette che per la psicoanalisi è oggi impossibile trascurare le scoperte della biologia e invita gli psicoanalisti a riflettere sul tema della complessità, precisando che l'homo sapiens è anche, a un tempo, demens per quell'insieme di razionalità e irrazionalità, saggezza e follia, che ha dentro di sé in forme inseparabili.
Riconoscere questi aspetti opposti e antinomici della mente umana non può essere un compito dei neuroscienziati. La mente è una funzione metaforica e "il pensiero metaforico [caro agli psicoanalisti] insospettisce l'uomo di scienza". Inoltre la psicoanalisi fa ricorso alla libera associazione che comporta un'autodisorganizzazione del pensiero e riposa sul fondamento che la pulsione è il motore che fa lavorare l'apparato psichico. Tutto ciò è assente dalla neurobiologia e dal cognitivismo. La psicoanalisi dunque deve trarre la validazione delle sue teorie all'interno della sua pratica clinica senza ricorrere, come vorrebbero alcuni (vedi Grünbaum), a prove extracliniche.
Nella seconda lezione Green critica il pensiero strutturalista di Lévi-Strauss, che riconosce tuttavia come l'interlocutore privilegiato che permette alla psicoanalisi di riannodare il dialogo con l'antropologia. Egli riprende il punto cruciale del controverso rapporto tra psicoanalisi e antropologia: il complesso di Edipo e la questione del parricidio. Lévi-Strauss non nega il ruolo delle pulsioni, delle emozioni e degli affetti, ma per lui queste forze entrano in una scena già strutturata da vincoli mentali (parentele, economia, ecc.). L'inconscio diventa per Lévi-Strauss un "organizzatore di forme" che opera in una struttura intesa come "il risultato di una relazione tra un insieme di proprietà e un insieme di oggetti". Da essa nasce la cultura, considerata un "insieme di sistemi simbolici in cui, al primo posto, si collocano il linguaggio, le regole matrimoniali, i rapporti economici, l'arte, la scienza, le religioni".
Green accusa gli antropologi alla Lévi-Strauss di avere cercato di liberarsi degli elementi che richiamano alla sessualità nel tentativo illusorio di ripulire l'inconscio. Ciò significa però che gli antropologi hanno eliminato nelle loro ricerche tutto ciò che ha a che fare con l'intimità della vita del singolo creando in noi la falsa convinzione che nelle società primitive la sessualità non sia oggetto di prescrizioni che ne limitano il libero esercizio. Per contro, dice Green, dalla paleoantropologia alla situazione più attuale, la soggettività dell'uomo si è sempre definita attraverso la sua storia, una storia che riguarda i propri genitori e che da ciascuno di noi è rivissuta in après coup, cioè attraverso una ritrascrizione della memoria. Un momento personale che fa da supporto a una storia che è storia del desiderio.
Questa concezione della mente umana entra profondamente nella terza lezione. Qui l'uomo appare dominato dal desiderio, ma anche dal desiderio di non sapere e di disconoscere quello che attiene allo psichismo umano. Da ciò la resistenza nei confronti della psicoanalisi, una resistenza legata alla ferita narcisistica che la psicoanalisi infligge all'immagine che l'uomo ha di se stesso. Il discorso parte sempre dal grande motore psichico che è la pulsione, fonte e fondamento della soggettività. È la pulsione che presuppone un legame con l'oggetto e che dà vita all'oggetto stesso. Se alla pulsione leghiamo la sessualità, essa appare una funzione capitale, "perché è la sola, fra tutte le funzioni biologiche, a sottolineare l'incompletezza dell'individuo".
Di fronte alla pulsionalità destabilizzante, la mente umana avvia processi di negativizzazione. Si tratta di difese contro l'angoscia, la depressione e la frammentazione, dovute a ferite narcisistiche o perdite oggettuali: la negativizzazione è tesa a scongiurare la sofferenza. Quindi il lavoro del negativo è necessario per contenere e controllare la pulsionalità e a un tempo per proteggere l'uomo contro la sovversione che la pulsionalità esercita su tutto l'individuo. Ma il lavoro del negativo ha finalità più complesse: la costruzione, ad esempio, di un campo transizionale per superare la dicotomia del reale e dell'immaginario, dell'esistente e dell'assente. Vedi il carattere totalizzante e onnipotente del desiderio del bambino di essere amato, ma anche l'impossibilità che tale desiderio sia esaudito in maniera adeguata. Lo scarto tra desiderio e sua soddisfazione può avere effetti devastanti.
La posizione teorica di Green appare lontana da quella di altri rappresentanti della psicoanalisi americana, come Storolow e Atwood, per i quali tutti i fenomeni psicologici sono essenzialmente relazionali e determinati dal campo intersoggettivo. Lo stesso sviluppo della mente infantile, lungi dall'apparire come il risultato di un'operazione legata alla pulsione e al desiderio, è visto come "una proprietà del sistema di regolazione reciproca madre-bambino". La pulsione è sostituita dall'affetto, "costrutto motivazionale centrale". Lo stesso concetto di inconscio viene trasformato rispetto a Freud: gli autori parlano di un "inconscio dinamico" che non contiene pulsioni rimosse, ma strati affettivi, esclusi dalla coscienza a scopo difensivo in quanto incapaci di evocare una risposta sintonizzata da parte dell'ambiente. Il trauma che nella concezione di Freud è legato alla rimozione del desiderio e in quella di Green (e di Bion) alla frustrazione del desiderio, viene qui scisso dalla pulsione e dalla frustrazione e attribuito alla mancata sintonizzazione degli affetti. Affetti intesi come eventi primari con un compito motivazionale e non invece come eventi secondari all'incontro della stessa motivazione (desiderio o bisogno) con l'oggetto e la realtà. Tutto il senso della realtà del bambino si sviluppa per questi autori grazie a una sintonizzazione "coinvolgente" che questo può avere con la madre, carica di affettività, piuttosto che in risposta a frustrazioni e delusioni. Ma se la relazione con la madre permette delle sintonizzazioni coinvolgenti, come è possibile negare che esistono anche situazioni non-coinvolgenti, cioè frustranti e deludenti?

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