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Leggera e quasi incorporea, malinconica fata turchina dei Navigli, la Lamarque ha sfidato e modificato la tradizione più collaudata, quella favolistica, in questa fiaba del 1992, più volte ripubblicata con successo. Ecco perciò una Cappuccetto Rosso rovesciata, di nome Bambina (un archetipo, quindi? o una vaga riminiscenza delle storie assurde per l'infanzia di Ionesco?), che ama i lupi al punto di mangiarseli, a volte lessi a volte arrosto. Bambina ha una gallina che si chiama Gallina, e insieme vivono in cima a un albero altissimo, in una capanna che ha tutto, e anche il balconcino in più. Di lì si sporgono a prendere il fresco, Bambina felice e Gallina tremante. D'inverno le due protagoniste del racconto girovagano affamate per il bosco, finché Bambina, quasi per caso, si trasforma in cacciatrice, cuoca e divoratrice di lupi. E allora, all'understatement ironico della Lamarque, sottilmente crudele nella sua fantastica levità, sovviene una Bambina streghetta dai capelli-aculei e dalle gambe sottili, intenta ad assaggiare sorniona una zuppa di lupo con orecchie, coda e zampe che sporgono da diverse pentolacce. Questa Bambina, diventata presto il terrore dei lupetti che vanno a trovare le nonne, è temuta al punto che si vede costretta a travestirsi da lupo, "e a travestirsi bene, se no poi i lupi le dicevano 'Ma che zampe bianche hai!..Ma che bocca piccola hai!'", e diventa essa stessa lupo, in un esopismo rivisitato sadicamente. Morale della favola: "E dunque non abbiate troppa paura dei lupi, bambini. Dentro di loro batte un cuore di bambina". In conclusione, il messaggio consolatorio e rassicurante della favola lamarquiana svela la considerazione perversa per cui forse è meglio la naturalezza ferina rispetto all'atrocità infantile...
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