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Anno edizione: 2021
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I sapori, la persistenza e la metamorfosi della lingua costituiscono l’epicentro di una narrazione che rimescola i secoli in un romanzo fuori dalla norma, pieno di tinte forti e intriso di cultura popolare, ricco di memoria, fecondo di fraternità.
«Un pezzo di bravura di cui non c’è equivalente nella letteratura contemporanea». - Jean-Claude Raspiengeas, France Inter
«Un gargantuesco millefoglie letterario». - Sophie Joubert, L’Humanité
«Un racconto barocco e rabelaisiano attorno a un banchetto delirante. La penna e la fantasia sfrenata di Enard conducono la sarabanda». - Thierry Clermont, Le Figaro Littéraire
«Raramente un libro sulla morte è stato così allegro». - Florence Bouchy, Le Monde
«Romanzo prodigioso». - Gilles Heuré, Télérama
Ai fini di una tesi di dottorato su cosa significhi vivere in campagna nel XXI secolo, l’apprendista etnologo David Mazon ha lasciato Parigi per acquartierarsi in un modesto paesino della provincia francese. Sistematosi in una fattoria, ben presto equipaggiato di un motorino utile a condurre le sue indagini, il nuovo arrivato inizia a tenere un diario di campo, registrandovi piccoli avvenimenti e usi e costumi locali, ben deciso a definire e cogliere la quintessenza della ruralità. Per meglio immergersi nello spirito del luogo Mazon diventa assiduo frequentatore del Bar-Pesca e dell’amabile sindaco Martial, che in qualità di becchino del cantone ha l’incarico di preparare il banchetto annuale della sua Confraternita, pantagruelico festino di tre giorni durante i quali la Morte concede una tregua affinché i becchini – e i lettori – possano dilettarsi senza scrupoli. In una favolosa opulenza di cibo, libagioni e parole, in un andirivieni incessante tra presente e passato, seguendo i capricci della Ruota del Tempo in cui la Morte rimette in circolazione le anime che coglie, Enard resuscita la Francia profonda di cui è maestro nel lavorare il fertile terreno.
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Ho avuto difficoltà a ultimarne la lettura. Uno zibaldone, un frastuono, un'esagerazione.
Più lontano dal registro erudito e la sintassi complessa degli apprezzati 'Zona' e 'Bussola', Il banchetto mi ha un po' spiazzato all'inizio dove si esprime in forma di diario piacevolmente colloquiale. Mi sembrava quasi di leggere un giovane ironico e giocoso Carrère in fuga dalla città, - il che non mi ha disturbato affatto, essendo un'estimatrice del medesimo. È che mi ero attrezzata con tanto di armatura e coltello fra i denti per affrontare, fin dal principio, la lettura impegnativa che supponevo trovare nella scia dei titoli citati. Qui Énard, sempre con la sua peculiarità intricata e intrigante, è relativamente più fluido nell'escamotage del rimescolamento dei secoli; è scanzonato e brioso quando si fa barocco e rabelaisiano, e credibile anche quando si fa truculento; non mi è affatto dispiaciuto. L'architettura del romanzo mi ha dato un po' da pensare, ma Énard l'apprezzo sempre per la creatività e la versatilità negli stili e nei registri (che è dote rara, a saperla gestire bene) e, nello specifico, per la sua abilità nell'alleggerire, inspessire per poi rialleggerire la narrazione donando un senso finale di rilassamento e di soddisfazione. Scrittura rinfrescante, lettura ricreativa.
Questa volta l'amato Enard è meno esotico del solito e ci porta nel Marais, regione agricola e paludosa della Francia, dal la quale parte con le sue solite magistrali digressioni che hanno come tema gli aspetti pratici della Morte, La struttura del romanzo è complicata, i personaggi sono tantissimi, ma lui sa gestire la giostra, e svela lo spessore drammatico che si cela anche in questo grigio territorio. Con nuovo un tono di ironia che di solito si riserva a ciò che si conosce bene e in fondo si ama. Mi pare.
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