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Manzoni vede gli estremi della violenza e ne rimane affascinato, e nello stesso tempo non può non sentirne la mostruosità. Sa anche che quei nazisti non sono criminali, ma demoni: Raffaele Perrotta direbbe lo stesso. La COERENZA invoca CONTENUTI; l’urgenza dei CONTENUTI stimola UNO STILE SENZA STILE. E’ il suo modo di vedere le cose, ma non lo sento vicino. Eppure mi è vicino: quando tocco il mio fondo, anche il mio stile diventa uno stilo (Dio sa quanta rabbia, sentendomi dire che chi scrive troppo non vive; o sentendomi chiedere se e quanto sono pagato per dirigere una collana o fare parte di un comitato scientifico); quando diventa uno stilo, è meno buono. Ora che Manzoni è al bivio tra i CONTENUTI (che sono SOSTANZA) e la METAFORICITA’ delle operazioni (Marina Abramovic non si è massacrata per il puro gusto del sado-maso…), dovrà scegliere: forse sceglierà la metafora, nel pieno della carne (viva). Già la violenza di questo romanzo parla continuamente di carni da massacrare (p. 33: “sputando carne”; p. 135: “le piantò il coltello che aveva in pugno nelle carni”; p. 148: “Una lunga raffica di Lewis spaccò tendini e ossa a Cavalcanti, tagliandogli la carne”; p. 150: “avvinghiato coi denti alle carni”). Dunque cambierà il suo stile: sempre teso al contrasto e all’estremo, è possibile che in lui vinca quell’estremo – che divide suocera contro nuora e padre contro figlio – che è Cristo, e anche il suo bisogno di lottare sarà appagato.
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