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Le banlieues. Immigrazione e conflitti urbani in Europa - copertina
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Le banlieues. Immigrazione e conflitti urbani in Europa
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Descrizione


L'esplosione dei conflitti nelle banlieues di Parigi e di molte altre città della Francia nel novembre del 2005 ha portato alla luce, in modo eclatante, i nuovi conflitti urbani variamente connessi con l'immigrazione. Questi conflitti, di natura assai complessa (etnica, sociale, generazionale, culturale, religiosa), avevano già cominciato a manifestarsi sin dagli anni Cinquanta in tutti i paesi europei caratterizzati da una significativa immigrazione (Regno Unito, Francia, Germania) e ora si affacciano anche in Italia, ormai diventata il quarto paese d'immigrazione dell'Unione Europea. Il libro affronta la questione da varie angolature, grazie ai contributi di tre noti sociologi da tempo attenti ai problemi dell'immigrazione. Umberto Melotti ne analizza i rapporti con le politiche relative all'integrazione sociale degli immigrati, a loro volta correlate alle culture politiche prevalenti nei diversi paesi europei. Pio Marconi svolge un confronto con i movimenti sociali emersi negli Stati Uniti e in Argentina e ne sottolinea il rapporto con la crisi urbana e la crisi del welfare collegate con il processo di globalizzazione. Maurizio Ambrosini ne approfondisce la componente più propriamente generazionale, dovuta alla crescente presenza fra gli immigrati di giovani dalle aspettative spesso deluse o frustrate.
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Dettagli

2007
1 gennaio 2007
118 p., Brossura
9788869160790

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Michele Lucivero
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La rivolta delle banlieues esplosa a Parigi nel 2005 ha impegnato gli studiosi nella ricerca delle motivazioni per cui si sono determinate delle fratture all’interno dei modelli d’integrazione. Il filo rosso che permette di azzardare una lettura comune di questi fenomeni è che, a differenza delle rivolte degli anni ’60-’70, queste sono guidate da giovani di seconda o terza generazione di immigrati. In particolare, in Francia i protagonisti sono stati magrebini e africani, cittadini francesi a tutti gli effetti, ricacciati a forza nella loro identità etnica, traditi dai markers e dalla loro condizione sociale, che li ha relegati nelle periferie infamanti delle grandi metropoli. Se dagli episodi parigini ne esce sconfitto principalmente il modello d’integrazione assimilazionista, anche quello multiculturale inglese e nordamericano deve fare i conti la presa di coscienza del fallimento. Ma ciò che emerge con forza ad uno sguardo più attento è che il conflitto non è specificamente di natura etnica, ma è riconducibile a dinamiche socio-economiche poiché la migrazione ha avuto un senso nella misura in cui ha attirato un sottoproletariato dall’estero, spesso ghettizzato perché impossibilitato ad accedere ad una serie di servizi sociali e quindi orientato ad affidarsi ad una solidarietà comunitaria attivata all’interno del gruppo dei simili. Si tratta di un’aggregazione di natura economica che solo incidentalmente è anche linguistica e culturale, anzi talvolta diventa inaspettatamente transculturale, giacché crea legami tra comunità storicamente in conflitto nei paesi di provenienza, ma unite nell’avversare la nazione ospitante, incapace di garantire la mobilità sociale.

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