Continuare a considerare il gioco come tema d'indagine storica interessante, ma tutto sommato leggero, sarà grazie a questo libro più difficile. E chi meglio di Gherardo Ortalli, che da due decenni ne promuove lo studio, poteva cimentarsi con questa sfida, offrendo una sintesi critica delle ricerche condotte su questa materia per il periodo bassomedievale? Non ci si aspetti però una storia convenzionale, perché l'angolo di visuale proposto è quello di un fenomeno tra i più affascinanti ma anche meno noti: la casa da gioco pubblica. Pochi sanno che tra il XIII e il XV secolo l'Europa si popola di casinò a cielo aperto collocati nelle piazze centrali delle città dove, in deroga ad antichi divieti, giocare d'azzardo era permesso. Con pragmatismo, le autorità pubbliche non reprimono pulsioni che oggi sappiamo avere spesso un'origine patologica, ma sperimentano strategie di contenimento che ricordano le politiche di riduzione del danno. Ma il meccanismo non si ferma qui: presto i permessi si trasformano in entrate fiscali, grazie all'appalto delle bische e ai prelievi sulle vincite delle partite ai dadi, unico strumento con cui all'epoca si poteva correre l'ebrezza di sfidare la fortuna. Insomma, un quadro che può apparire sorprendente a chi è legato alla solita immagine di una società medievale cupa e bigotta e che inevitabilmente richiama un'attualità sempre più affollata di sale corse, video-poker e gambling online. Proprio perché il gioco è cosa seria, il volume non cede però alle mode del momento, e anzi affronta la questione con metodo rigoroso e "inevitabile pedanteria" (sono parole dell'autore) ricostruendo l'origine, lo sviluppo e la crisi della bisca pubblica e guardando all'universo dell'umanità marginale che le animava. Sono i barattieri (o ribaldi), persone che dell'azzardo facevano la loro ragion d'essere, spesso in congiunzione con altri mestieri infamanti (boia, lenoni, mercenari, ladri), incarnando così l'esatto contrario dell'universo valoriale delle maggioranze. Il baricentro geografico è l'Italia centro-settentrionale, ma non mancano sconfinamenti nel resto d'Europa, così come utili raffronti con l'intera dimensione ludico-ricreativa: corse dei palii, feste, scacchi e giostre cavalleresche. È un'operazione di grande complessità perché poche sono le ricerche in materia e le fonti conosciute (soprattutto edite) scarseggiano; il lettore perciò si prepari a muoversi tra sermoni di predicatori, contratti di appalto, rime in volgare, testimonianze processuali e soprattutto molti statuti comunali. Zigzagando con estrema abilità tra le fonti e selezionando casi particolarmente indicativi, Ortalli chiude definitivamente con vecchi stereotipi, consolida precedenti intuizioni approfondendone i contorni, getta luce su alcuni aspetti chiave finora poco conosciuti. Si archivia l'idea della baratteria come gruppo para-corporato dotato di una certa autonomia rispetto alle autorità locali; si perde così l'appeal di umanità reietta, ma resistente e ci si trova di fronte a un'umanità subalterna e infamata, strumentalmente sottomessa alle necessità dei comuni. Si conferma l'eccessiva rigidità della sequenza secondo cui la bisca organizzata "dal basso" ottenga di derogare ai divieti per poi divenire casa da gioco istituzionalizzata, ma data in concessione ai barattieri. Se la tendenza generale tiene, il quadro che emerge è decisamente meno omogeneo, quasi a "macchia di leopardo". Si battono terreni inesplorati che rivelano un'imprenditoria dell'azzardo fatta di rispettabilissimi appaltatori di professione e permettono di seguire nel tempo gli introiti che il gioco portava nelle casse cittadine. Il declino quattrocentesco della bisca pubblica è a sua volta sottoposto a revisione. Diversamente da quanto ritenuto (anche da chi scrive), il contrarsi del gettito delle gabelle sul gioco perde rilievo tra le concause della crisi. Oltre all'indubbia concorrenza di nuove forme di azzardo (carte da gioco e lotterie), è un'alleanza in nome del pubblico decoro, in cui si saldano l'attiva azione dei predicatori e i nuovi modelli culturali rinascimentali, a espellere baratteria e barattieri dalle piazze. Come lo stesso Ortalli non ha difficoltà ad ammettere, in questa robusta ricostruzione restano ancora elementi da scandagliare e lacune da riempire. Ci si sarebbe ad esempio potuti spingere oltre sulla relazione tra economia ed etica, tenuto conto che in materia di azzardo la chiesa si rivela precocemente cedevole. Precorrendo una tendenza che investirà altri ambiti giurisdizionali, il gioco potrebbe essere stato uno dei primi terreni in cui le autorità laiche sperimentano la possibilità di scindere ciò che è legale da ciò che immorale. E si sarebbe anche voluto sapere di più sui barattieri e i loro rapporti con il resto dei giocatori che, copiosi, lo si desume dagli importi davvero consistenti degli appalti, dovevano affollare le bische. La divaricazione tra l'azzardo dei marginali e quello delle persone rispettabili, che il volume lascia intuire, spinge a sondare eventuali parallelismi con quanto si è negli ultimi anni ipotizzato per il credito degli usurai e quello dei mercanti-banchieri. Ma non si può pensare che un lavoro di sintesi svisceri temi che avrebbero richiesto scavi d'archivio massacranti, come del resto non si può pretendere che una delle tante concessionarie che con il gioco hanno realizzato cospicui utili finanzi simili ricerche. O forse si? Giovanni Ceccarelli
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