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La barba di Platone è una metafora utilizzata in un famoso saggio del fi losofo Willard Van Orman Quine, esponente di spicco della fi losofi a analitica, in contrapposizione al rasoio di Occam che dovrebbe limitarne la crescita scomposta e indebita. Essa indica quelle ontologie ricche e anti-riduzioniste per le quali si possono attribuire requisiti, seppur deboli, di esistenza, anche ad oggetti non fi sicamente percepibili e non completamente defi nibili dentro una cornice meramente empirica. Per Quine invece esiste solo l’arido deserto del fattuale. Gli oggetti di fi nzione narrativa, come Pegaso, il cavallo alato, o come Babbo Natale, non hanno alcuna dignità ontologica. Non sono nemmeno idee nella mente degli uomini. Semplicemente non sono. Il mondo delle parole, delle rappresentazioni, dei concetti è trattato con sospetto. Innocue proprietà degli oggetti, come “essere bianco” o “essere rotondo”, nascondono il pericolo della reifi cazione degli universali “bianchezza” e “rotondità”. E perfi no il fi ume, ente formato da una successione di fasi transitorie ed effi mere, non è considerato un oggetto reale del nostro mondo. In questa prospettiva anche una minima trasformazione delle proprietà di un oggetto può mettere a repentaglio il suo requisito di ente permanente e ben individuato nel tempo. Con evidenti conseguenze per lo statuto metafi sico di quello strano e aporetico oggetto materiale che è la persona umana: ens successivum, soggetto psico-fi sico processuale e diveniente, in continua trasformazione, che si percepisce però come sostanza compatta e sempre identica a se stessa. Se per Quine il problema della esistenza di certe entità non si pone nemmeno, una ontologia che voglia salvare i fenomeni e la realtà del nostro mondo quotidiano deve trovare una teoria più inclusiva della nozione di esistenza. Andrea Velardi propone un internismo ontologico in cui le teorie di matrice analitica sono integrate con la prospettiva di Brentano e di Meinong, e in cui si sostiene che non è possibile costruire una ontologia degli oggetti materiali che non dia conto delle nostre intuizioni preanalitiche sul mondo e che non rispecchi i nostri vincoli cognitivi, in un continuo riferimento alle capacità descrittive e alle proprietà causali sui nostri atteggiamenti esibite dai nostri schemi concettuali, dalle rappresentazioni mentali, dai mondi possibili e dagli universi di discorso. Mostrando che la barba di Platone prospera felicemente nonostante l’uso troppo rigido del rasoio medievale.
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