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recensione di Cacciavillani, G., L'Indice 1990, n. 5
Che cos'è una biografia? Apriamo il "Grande Dizionario" del Battaglia e vi leggiamo una definizione che più esauriente e netta non potrebbe essere: "Narrazione della vita e dell'opera di un individuo che merita di essere ricordato (e non è limitata ai fatti esteriori, ma si preoccupa di ricostruire lo sviluppo intimo della personalità studiata)". Già Leopardi, per altro, s'era occupato del problema, e prima di decidere che la biografia non poteva che essere la "storia di un'anima", precisava: la biografia deve dar "notizia dell'essere, dei costumi e dei casi" di una persona. Il genio leopardiano, a mio parere, non s'è sbagliato neanche stavolta. Ci sono tre elementi in gioco, che potremmo così precisare: il mondo interno, le relazioni col mondo esterno, gli eventi. Elementi, del resto, strettamente correlati: poiché gli eventi interagiscono sia col mondo interno che con le relazioni col mondo esterno; e queste strettamente dipendono dal mondo interno, ne son propriamente la proiezione.
Così impostata la questione, potremo ora vedere la posizione di Pichois e Ziegler in merito al loro lavoro biografico su Baudelaire. Essi partono da una considerazione storica: le biografie su Baudelaire non mancano: né quelle più o meno romanzate né quelle, "simpatetiche", che tra ciano la storia di uno "Spirito" (Asselineau); né mancano quelle esclusivamente interpretative, con quasi totale elisione degli eventi (Sartre, Butor); ma, in realtà, l'unica opera veramente attendibile è costituita dallo "Studio biografico" di Eugène Crépet, anteposto alle "Oeuvres Posthumes et correspondances inédites" di Baudelaire, pubblicato nel remoto 1887 (il figlio Jacques lo ripubblicherà nel 1906 con qualche semplice ritocco e aggiunta). A questo punto intervengono Pichois e Ziegler, un secolo dopo il volume di Crépet, per riprendere quella preziosa eredità ma anche per ristrutturarla completamente: le ricerche su Baudelaire si sono fatte, nel frattempo, sterminate, sia nell'ordine della ponderosa monografia, sia nell'ordine della più sofisticata microscopia. Nel 1986, il W.T. Bandy Center for Baudelaire Studies dell'università Vanderbilt (diretto da Pichois) ha censito circa 50.000 titoli; e negli ultimi anni la parabola ha continuato ad essere crescente. Dunque, le dichiarazioni di metodo: la biografia dovrà seguire la formula inglese 'Life and Letters', nutrendo cioè il discorso sugli eventi con ampie citazioni di documenti e soprattutto lettere, "in modo da consentire al lettore di avere una sua impressione e di farsi un'opinione personale". Aggiungono poi gli autori: "Asselineau voleva scrivere la 'biografia di uno spirito'. Noi abbiamo voluto scrivere la biografia di uno spirito e di una carne, di un uomo di sangue e di nervi. Una biografia è solo una biografia. Non ha la pretesa di spiegare l'opera di un poeta". Per quanto ineccepibile possa apparire la tautologica definizione di Pichois-Ziegler ("una biografia è una biografia"), essa, di fatto, come mostra il contesto del discorso sul metodo, si fonda sull'elisione del primo elemento di una biografia (secondo Leopardi): l'essere. Persuasi, secondo un'ottica squisitamente positivistica, che l'artista si risolva nella oggettività degli eventi, essi rinunciano aprioristicamente a confrontarsi con quella nozione più ampia di "vissuto" che i tedeschi chiamano "mondo della vita". Come potrebbe uno studio biografico non essere, prima di tutto, un tentativo di comprensione dall'interno della vicenda umana di un grande artista? Come può una biografia non tener conto dell'aspetto creativo dell'artista, di quel mondo d'immagini, sensazioni, emozioni profonde, pensieri e fantasie che si distilla poi in 'opera'? E infine, non è ormai un dato storiografico acquisito che, come affermava Nietzsche e come ripeterà Freud, non esistono i fatti ma solo le interpretazioni, e che l'oggettività pura non esiste (né è auspicabile che possa mai esistere)?
George D. Painter, licenziando quell'esemplare monumento biografico che è il suo "Marcel Proust", avvertiva che "l'esattezza più rigorosa si può conseguire anche senza togliere a una storia tutto ciò che essa ha di vivo [...]. Il mio intento è di scoprire i fatti e di metterne in luce il significato". Tenendo presente, sulla scorta della memorabile frase di Keats, che "una vita d'uomo, quando ha qualche valore, è un'allegoria continua". E qui mi pare fondamentale considerare che, giustamente, Painter correla strettamente la serie degli eventi, la serie delle relazioni col mondo esterno e la serie del mondo interno. La vita di un grande poeta ci è preziosa non in sé, ma proprio perché disegna un'allegoria; proprio perché, in altre parole, è la matrice visibile di quell'altra matrice da cui è sorto un mondo nuovo di forme e di significati. In conclusione si vorrebbe dire questo: a cent'anni dal lavoro di Crépet, Pichois e Ziegler ci immettono nella vicenda biografica di Baudelaire con una ricchezza di documentazione tale da polverizzare qualsiasi tentativo precedente in tal senso. Per la prima volta, emerge una trama di vicende di ampiezza insospettabile: la Lione, la Parigi, la Bruxelles ricostruite in laboratorio dagli autori assumono la concretezza fotografica del visibile; e dentro queste grandi città, ma soprattutto dentro Parigi nel momento della sua massima e traumatizzante metamorfosi, si percepisce il nereggiare di una folla, e figure umane e luoghi e circostanze che il destino di Charles ha intersecato. Nessun serio studioso di Baudelaire potrà ignorare, d'ora in avanti, lo scenario ricreato dai suoi biografi. Ma ciò riconosciuto - e riconosciuto con nettezza -, il lavoro è anche una preziosa occasione mancata. Mancanza di coraggio, mancanza d 'amore, mancanza di autentica curiosità? Non si saprebbe dire. Il lettore di quest'opera imponente esce dalla lettura bombardato di date e di dati, ma sostanzialmente frustrato. E il poeta? Dov'è il poeta? "La toile était levée et j'attendais encore".
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