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Da un autore poco conosciuto in Italia, apprezzato in Polonia e in Germania, un romanzo straordinario per raccontare la difficile realtà di Varsavia occupata dai nazisti, insieme all'antisemitismo e ai conflitti tra polacchi e ebrei. Gran bella lettura anche per chi, come me, predilige la storia e la ricerca storica relativa al periodo in questione.
Che dire, peccato che Adelphi abbia pubblicato soltanto due degli scritti di questo Autore. Uno meglio (anzi uguale) all'altro. Da leggere
Recensioni
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recensione di Chiarloni, A., L'Indice 1989, n. 2
Il titolo scelto da Adelphi, corredato da un risvolto ad hoc e da un raffinato volto femminile di Klimt, oltre ad essere più commerciale di quello originale ("L'Inizio"), sposta l'attenzione del lettore su di un episodio congegnato con grande tensione narrativa. Varsavia 1943: Irma Seidenman, giovane vedova bionda ed eterea, è denunciata alla Gestapo da un delatore ebreo. Arrestata, nega di essere ebrea ma non creduta, viene avviata alla deportazione. Sarà un tedesco, 'deux ex machina' della situazione, a salvarla. Ed è attraverso questa figura che l'autore articola la sua concezione antropologica del mondo: Muller è un socialista che redime la sua germanicità attraverso quel "granello di follia" che lo affratella ai polacchi, è un tedesco "imperfetto" proprio perché "contagiato dalla malattia benedetta della polonità". Ma soprattutto Muller, oltre ad essere visceralmente anticomunista, come i polacchi odia la Russia, qui definita "tirannica, tenebrosa e sfrenata". Il sistema dei personaggi rivela insomma una separazione senza appello tra gli uomini di buona volontà - ebrei e cattolici, polacchi e tedeschi - e i russi infidi e crudeli, colpevoli di avere esportato il bolscevismo, che è "dittatura, crudeltà, ateismo e morte della democrazia". La cattiveria è dunque tutta russa e in questo senso il romanzo si può leggere come implicito gesto di assoluzione nei confronti del passato tedesco - tanto più che in fatto di antisemitismo anche i polacchi han fatto la loro parte - e difatti "La bella signora Seidenman* è stato a lungo in testa alla lista dei best seller del 1988 in Germania Federale. Ma poiché le vicende narrate arrivano ai primi anni '80, l'impressione complessiva è quella di una dura resa dei conti tra un autore polacco - S. è nato nel 1924 a Varsavia, dove vive tuttora - e i vari governi di marca moscovita, dal dopoguerra a Jaruzelski. Una resa dei conti condotta secondo l'equazione, peraltro assai diffusa di questi tempi, bolscevismo = stalinismo = nazismo. Il lettore farà dunque bene ad adattarsi subito a un'ottica del tutto priva di dialettica, dopodiché il romanzo può riuscire persino istruttivo perché S.- che è narratore di grande talento - illustra assai bene il rifiuto viscerale nei confronti del modello economico sovietico, oggetto di ludibrio anche nelle sue forme virtualmente più positive. Si veda ad esempio come le ironiche previsioni sul dopoguerra in Polonia di Romnicki, un vecchio e saggio giudice, istituiscano attraverso un ammiccante slittamento temporale, sostenuto dal gioco di citazioni hitleriane, evidenti analogie tra l'occupazione nazista e quella sovietica: "I padroni avranno cura dei fanciulli, introdurranno perfino l'Ovomaltina all'asilo, in modo che i bambini crescano sani e forti, e poi lavorino puntualmente per un modesto ma giusto compenso, e abbiano vacanze salubri e ricreative secondo il principio 'Kraft durch Freude', che vuol dire che la forza si ottiene in virtù della gioia, e cioè che bisogna riposare, curarsi, provvedere a otturare i denti, nutrirsi in modo razionale e attenersi a un regime di vita igienico, essendo questa una condizione indispensabile per poter svolgere un lavoro produttivo e disciplinato e, come lei sa, caro Kujawski, 'Arbeit macht frei', il lavoro rende l'uomo libero, soprattutto lo rende libero sotto il sole dorato della pace europea. E una sola cosa ci mancherà. Una sola! Il diritto di non essere d'accordo. Il diritto di dire a voce alta che noi vogliamo una Polonia libera e indipendente, che vogliamo lavarci i denti e riposare a modo nostro, prolificare e lavorare a modo nostro, a modo nostro pensare vivere e morire".
Serpeggia nel romanzo la nostalgia per una Polonia anteguerra di conventi e castelli in cui i negozi di moda si chiamavano ancora 'Dernier cri', una Polonia artigiana popolata da un'umanità eterogenea, dalle mani d'oro e la faccia di volpe, che sopravvive "fino a quando la mano ferrea del sistema (socialista) che ha spazzato via i resti dell'umana intraprendenza" non la "soffoca nella sua terribile morsa". Nella mitologia di una nazione che S. vuole "imperfetta, incompiuta, incompleta, incerta, irresoluta, disordinata, capricciosa e sfrenata" s'innesta inevitabilmente un certo irritante snobismo nei confronti del benessere e della noiosa banalità della pace che culmina nella sorprendente affermazione di Pawel, un personaggio a cui va la simpatia dell'autore, secondo la quale non ci sarebbe "una differenza essenziale tra un vecchio che viene fucilato in una strada di Varsavia occupata dai nazisti e un suo coetaneo che muore di cancro una quindicina d'anni dopo".
Le parti migliori del romanzo sono quelle dedicate alla Varsavia degli anni quaranta, animata da contraddittorie e umanissime figure a tutto tondo: inedita tra tutte quella di Weronika, la ruvida suora cattolica che nel suo zelo antisemita si prodiga per convertire i bambini ebrei, impone loro un nome e un identità cristiana per redimere la loro anima impura salvandoli così di fatto dallo sterminio.
Andrzey Szczypiorski ha vissuto la guerra da ragazzo. Appena ventenne nel 1944 fu internato nel campo di concentramento di Sachsenhausen. Successivamente visse l'esperienza del socialismo reale in Polonia: i suoi romanzi più noti rielaborano, talora in forma cifrata, i "quarant'anni di dominazione sovietica". Sull'onda del successo della "Bella Signora Seidenman* la casa editrice tedesco-federale Diogenes ha ristampato "Una messa per la città di Arras" complessa metafora dello stalinismo, ambientata nella Francia del '400, pubblicata in Italia nel 1983 dalle Edizioni e/o.
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