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Da un libro che - giustamente - comincia stigmatizzando lo scempio fatto da Francesco Florimo della corrispondenza dell'amico Bellini dovrebbe emergere, del musicista catanese, un ritratto meno convenzionale di quello sin qui tramandatoci da studiosi, esperti e melomani. E invece riecco i soliti clichés dell'angelo dai boccoli biondi e dagli occhi azzurri, riecco la solita solfa sul "genio" operistico, riecco il solito, tormentato animo romantico che riesce ad imporsi in mezzo a lestofanti d'ogni risma: la solita aria fritta, insomma. L'autore redige la quasi totalità della biografia scopiazzando ampi stralci dell'epistolario belliniano senza metterci del suo (per fare un esempio, non spende una parola per riabilitare agli occhi del lettore un Donizetti che tutto era fuorché quella virago cospiratrice che Bellini s'era messo in testa che fosse) e, ahinoi, quando ce lo mette, lo stile è talmente polveroso che quasi non si avverte il passaggio dalla prosa del primo ottocento a quella attuale (la narrazione della controversa relazione con Lena Focaroli, per dirne una, pare uscita dalla penna d'una Delly). Miseranda assai la parte musicologica, trattata en passant clonando ben più affermati critici musicali. Approssimativa e spesso fuorviante la cronaca delle prime teatrali, sempre tesa a risollevare le sorti dell'amato compositore pure in presenza di fiaschi conclamati. Pessimo e irritante il vezzo di Bucci di "tradurre" la prosa ottocentesca a ogni piè sospinto, come se un lettore che si accosta a una biografia di Bellini non fosse già avvezzo ai vari "dovea", "potea" e "volea", come se prima d'ora non si fosse mai letto uno "jeri" nella grafia dell'epoca, come se uno non sapesse cosa vuol dire "sovente". E infine, tutte quelle note che appesantiscono il testo senza fornire delucidazioni di un qualche spessore (e stendiamo un velo misericordioso sulle "biografie" dei musicisti dell'epoca, a dir poco penose)... Un libro inutile (e costoso), per dirla in parole povere.
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