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Delle tre parti in cui si suddivide questo volume di Franco Riva, che riflette su cosa si debba intendere per idea del bene a partire dalle origini del pensiero filosofico, senz'altro la meno accessibile al lettore profano è la prima, dedicata al confronto tra Platone e Aristotele nella definizione che entrambi danno del bene (il primo in senso più ontologico, il secondo in senso etico), e alla rilettura ermeneutica che ne fa Gadamer. Tommaso d'Aquino fu poi, tra i teologi medievali, quello che più si interrogò su una soluzione che indicasse in Dio, inteso come bene universale e perfetto, la beatitudine dell'uomo. La seconda sezione del volume abbandona "l'archeologia" del bene per affrontare "l'esistenza" del bene intesa come soggettività, responsabilità, giustizia e condivisione con gli altri, attraverso la riflessione kierkegaardiana e sartriana, passando per le provocazioni nietzschiane e approdando agli esiti di Lévinas e Habermas. Ma è nella terza parte del volume che la speculazione di Franco Riva diventa più stringente e coinvolgente per il lettore, che viene stimolato a interrogarsi su cosa sia effettivamente la solidarietà (e allora i nomi ricorrenti sono quelli di Jonas e Ricoeur). Ecco quindi cosa si debba intendere con questo termine: "non solo beneficenza, non solo interdipendenza, non solo protezione di gruppo". E tanto meno quel voyeurismo del dolore cui ci sta abituando la scena mediatica quando ci invita - davanti alle malattie o ai cataclismi naturali - a una retorica e a una moda buonista dell'offerta (o dell'elemosina?) tramite un sms che acquieta la coscienza: in cui "l'accento cade, compiaciuto e narcisista, sulle proprie possibilità, sul proprio standard di vita; sulla superiorità culturale e tecnologica; sulla propria capacità di solidarietà". Stigmatizzando come ipocrita "quel sentirsi bene facendo del bene", Franco Riva invita a una "corresponsabilità" per l'altro che sia ricerca del bene come trascendimento, come uscita dal sé.
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