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Anno edizione: 2018
Anno edizione: 2004
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Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
Ho appena finito di leggere questo libro, trovato per caso in una libreria di Milano, e sono senza parole. È un vero capolavoro, una narrazione intensa, un delicato approfondimento psicologico dei personaggi, una lingua "forte", ma allo stesso tempo raffinata. Elvira Dones è davvero una grande narratrice. Unlibro da consigliare a pieni voti.
Recensioni
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Nel suo libro precedente, Sole bruciato (Feltrinelli, 2000), Elvira Dones aveva dato voce al dolore e all'umiliazione delle giovani albanesi costrette a prostituirsi sulle strade del nostro paese, raccontando, insieme alle vicende individuali delle protagoniste, lo smarrimento di un intero paese uscito da una lunga dittatura comunista con un enorme complesso di esclusione e una vorace smania di possedere il mondo che l'aveva ignorato fino ad allora. Al centro del libro era il male, lo stato brado del dolore e della morte, l'orrore che semplicemente è, esiste e che Dones cerca di descrivere penetrando nell'animo delle vittime lungo quel confine sottile che corre tra la fine della prevaricazione e l'inizio della sottomissione. Il male torna al centro dei suoi interessi anche qui, nel suo ultimo libro, la storia di un'imprevedibile amicizia fra un profugo albanese e un giovin signore svizzero che abitano entrambi in uno stesso condominio di Lugano: Max Baumann, lo svizzero, nel lato dell'edificio esposto al sole, Ilìr Bejko, l'albanese, in quello volto a nord che costa la metà. Ma si tratta di un male più segreto e inafferrabile, quello della solitudine e della difficoltà di vivere, che scava silenziosamente i destini all'apparenza così opposti e lontani dei due protagonisti.
Ilìr, falegname in Albania in una fabbrica di mobili saccheggiata dalla gente del posto all'indomani della caduta del regime, vive come può, dei lavori che trova, cuoco, pizzaiolo, custode delle piscine condominiali, sospeso nel timore di un licenziamento o dell'arrivo del foglio di espulsione, perché dopo cinque anni di residenza in Svizzera è ancora in attesa di un permesso di soggiorno. Max, rampollo di una famiglia dell'alta borghesia, è un pianista mancato, a cui un crampo alla mano ha interrotto sul nascere una promettente carriera. Lavora temporaneamente alle ferrovie, in spregio alle ambizioni riposte in lui dai genitori, ma da anni è caduto nel vortice autodistruttivo del gioco e dell'alcol.
È Max a intuire per primo in Ilìr un'affinità, una sensibilità esposta, senza corazza, come la sua, e a cercare in lui un complice e insieme un appiglio, un rifugio dalla sua divorante irrequietezza. Così il profugo albanese, lo straniero per eccellenza, diventa il compagno dei vagabondaggi per le strade deserte di Lugano, nelle lunghe notti insonni e alcoliche del fragile e sciagurato Max, l'unica persona capace di ascoltarlo e accogliere la sua disperazione. Tanto che in quello che sarà il loro ultimo incontro, in un insolito rovesciamento delle parti, Max affiderà il compito di raccontare la sua storia proprio a Ilìr, uno che come lui conosce il coraggio e la malinconia dell'estraneità, dell'esilio come sfida alle proprie origini, della solitudine come assoluto della libertà, ma che, a differenza di lui, possiede la giusta distanza per vedersi e per vedere gli altri e da questo intervallo trae la sua forza.
Il passato che Ilìr si è lasciato alle spalle è infatti denso, drammatico. È figlio di un ufficiale della Sigurimi (i servizi segreti del regime) che reclutava delatori e aveva imprigionato centinaia di presunti dissidenti del regime. Quando, all'indomani della caduta del regime di Enver Hoxha, le parti si erano capovolte, anche Ilìr era stato arrestato. "Vattene" gli aveva detto allora la madre, "vai a diventare una persona normale".
Era partito con due vicini di casa e la loro bambina neonata che i boss delle navi minacciavano di buttare in mare se non avesse smesso di piangere. Gli era morta in braccio prima di arrivare. Ma tutto quello che gli è accaduto gli sembra di colpo tanto insignificante da farlo vergognare quando Blanca, la ragazza colombiana di cui si innamora, dopo esser stata per molti giorni "muta come un pozzo abbandonato", un giorno gli racconta d'un fiato la sua storia: "Avevo un bambino di tre anni, un marito, una madre e un padre. Ora sono tutti morti". Li ha trovati al ritorno dal lavoro in città, nella loro casa in campagna, impiccati agli alberi del cortile o fatti a pezzi dai paramilitari, in una vasta operazione contro i guerriglieri e chiunque fosse anche solo sospettato di collaborare con loro.
Se una delle caratteristiche tipiche della figura dello "straniero" è la tendenza a pensare di essere il solo ad avere una biografia, cioè una vita senza riparo, fatta di prove tremende, di scelte laceranti, di strappi violenti, qui, con un'intuizione nuova e interessante, Dones sembra dirci che il troppo pieno delle vite di Ilìr e Blanca finisce per produrre altrettanta infelicità del troppo vuoto nella vita di Max. Stranieri a se stessi, quello che cercano tutti e tre è di liberarsi dei legami con il passato, di uscire da sé per ricominciare. "Chi l'aveva detto che era necessario vivere con i ricordi, i dolori, le gioie e altre cazzate del genere? Non si poteva vivere e basta? Senza niente" si chiede Ilìr. In una Lugano "bella ma immobile, statica come quelle donne tanto belle e altere da non concedere di farsi amare", sotto un cielo bianco e irreale, la vicenda avrà un epilogo tragico.
Al suo quinto libro dopo la raccolta di racconti Fiori sbagliati (1999) e i tre romanzi, Senza bagagli (Besa, 1998), Kardigan (1998), Sole bruciato, Elvira Dones, tra le poche voci albanesi emerse in Europa, dimostra una buona tenuta narrativa anche in questa prova che si emancipa dal romanzo-testimonianza per saltare al romanzo tout court, senza perdere in intensità e autenticità. Residente a Lugano dal 1988, Dones rappresenta un caso a sé nel panorama degli scrittori immigrati, scrive infatti in albanese, ma per la prima volta è lei stessa a curare la traduzione del suo romanzo in italiano, confermando la nascita di una nuova letteratura transnazionale.
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