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scheda di Dardanello, G., L'Indice 1990, n. 6
"Viene la tentazione di considerare la facciata dell'oratorio in modo statico, alla stregua di una grande idea che trovò all'improvviso la sua realizzazione e che attende un'analisi formale abbastanza sottile in grado di rivelare la sua perfetta armonia. Ma forse potrebbe essere più fruttuoso un tipo di approccio tendente a sottolineare le fonti del disegno e quanto vi sia in esso di improvvisazione" (p. 49). La retorica dubitativa del periodo non ci deve ingannare: Joseph Connors si avvia senza esitazioni per la seconda strada e, messi da parte filtri interpretativi e artifici teorici di convenienza, affronta la revisione filologica del corpus dei disegni, delle iconografie e delle testimonianze documentarie, di uno degli edifici apparentemente più assestati nell'opera di Borromini. Il risultato è un nuovo capitolo di storia dell'architettura, tanto più convincente quanto più la chiarezza di metodo e la lucidità critica dell'esposizione riescono a dimostrare che elaborazione dei fatti stilistici e meccanismi di comportamento sociale non vivono di esclusive vite proprie, e, se non possono essere costretti entro deterministici schemi di relazione, si influenzano però scambievolmente nel lungo e complesso processo in cui prende forma la rappresentazione, in architettura, del significato di una istituzione, in questo caso la congregazione dell'Oratorio di San Filippo Neri. Nel passaggio dalla prima alla seconda generazione degli Oratoriani, un gruppo sociale che inizialmente si presenta con caratteristiche democratiche, definito solo da una scelta di luogo e da una pratica religiosa, che si rispecchia in un'architettura non definita e in continua evoluzione, si trova nella necessità di definire uno spirito di corpo.
L'esigenza linguistica si fa allora più sentita, e insieme a essa il bisogno di riconoscersi per contrasto con le scelte di immagine operate dagli altri ordini religiosi. Compito degli architetti diventa perciò quello di studiare l'organizzazione funzionale della residenza e di presentare in forma leggibile al pubblico la condizione unica dell'istituzione. Paolo Maruscelli interpreta queste esigenze innestando il tipo del palazzo di famiglia romano sullo schema di un convento palladiano. Ereditata la commissione, Francesco Borromini adotta principi progettuali di libera improvvisazione e arricchimento della forma all'interno dei limiti complessivi prefissati, lavora sull'apparato ornamentale per trasformare la percezione dello spazio e della struttura, e, privilegiando le sole funzioni dell'Oratorio musicale e del ricevimento degli ospiti di riguardo, mette in moto una operazione che modifica sostanzialmente l'immagine pubblica dell'edificio, elevandolo a un rango aristocratico, contro le intenzioni degli stessi Filippini. Con la copertura di Virgilio Spada - che assieme a lui cresce nel cantiere dell'Oratorio, inventando sistemi di finanziamento che trasformano i creditori in parziali donatori, e diventa uno dei maggiori competenti di architettura della Roma del pieno Seicento - Borromini agisce all'interno dei meccanismi di commitenza come un grande manipolatore, fino a elaborare nell'"Opus Architectonicum" una retorica della giustificazione che tende a spiegare in termini esclusivamente funzionali quelle innovazioni formali di cui si.serviva in realtà per alterare la percezione visiva e il significato simbolico dell'Oratorio. L 'istituzione non tarderà molto a riconoscersi in quella nuova immagine, che nel tempo rivelerà la sua potenziale capacità di dar forma allo spazio circostante.
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