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«Il fatto è che Lelio, piú che uno spacciatore di menzogne, è un brioso inventore di favole, un chiacchierone inesauribile, che un poco per interesse e un poco per vanità pone se stesso a preferenza degli altri al centro delle proprie trovate. Se vizio in lui c’è, è – per dirla coll’Ortolani – “vizio della fantasia”, e non dell’anima. Quando Arlecchino, pronto e salace, gli rinfaccia di dire “ogni quattro parole diese busie”, risponde secco: “lo non dico che delle spiritose invenzioni”. I primi a riconoscere questa sua disposizione naturale, sono le sue vittime: Ottavio (“Sí, ve l’accordo. Siete un giovane di brio, manieroso;…”) e la stessa Rosaura (” Ancorché mi abbiate ingannata non so disprezzarvi”). In lui non c’è nulla di cinico, di turpe; al contrario, una leggera spensieratezza, un estro variopinto e un poco fatuo che a poco a poco ce lo ingrazia e ci innamora». Dall’ Introduzione di Guido Davico Bonino
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