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deludente,solo a tratti interessante,terminato solo per giustificarne la spesa...è più sicuro comprare gli autori stranieri
[...] Il romanzo è veramente bello nel suo insieme, triste e grottesco, ma riesce anche a far sorridere, Rugarli conferma le sue note doti di grande narratore e di fustigatore della corrotta società attuale. Al libro viene dato il taglio e la dinamicità di un giallo, con delitto, sospettati ed indagini, ma un giallo come ci hanno abituati le cronache, quando le indagini si avvicinano a qualche personaggio importante si insabbiano. Detto tutto ciò potrebbe sembrare un libro cupo, o una specie di romanzo-verità di denuncia sociale come ce ne sono altri, in realtà questo “Buio di notte”, resta innanzitutto un romanzo, un gran bel romanzo, che, immergendo fatti presi dalla realtà, nelle tinte del romanzesco rende la narrazione leggera ed elegante. Rugarli riesce a costruire atmosfere e dialoghi con uno stile molto personale con delle particolarità che a tratti ricordano il Gadda, soprattutto in certi passaggi o dialoghi in cui, tra le righe di un linguaggio eccellente, si intrecciano inflessioni dialettali o parole inventate, come rami di glicine fioriti ed intrecciati ad un austero cancello. Alla vicenda principale del delitto, inoltre, Rugarli, affianca l’amore dell’ispettore Rossi per una commessa che si rivelerà una truffatrice e le cui sembianze l’ispettore ritroverà nella suonatrice d’arpa Luisa Paradiso in pagine dal sapore più intimista e vagamente ottocentesco e riproponendo in chiave minore ed intimista la contrapposizione fra malvagi sotto mentite spoglie e buoni in un paradiso che è tale forse solo di nome.
Rugarli non finisce di stupire!Avevo dei dubbi quando ho letto nella copertina "picaresco", (che,secondo me, è ormai garanzia di bassa qualità...), invece il romanzo, pur nella sua leggerezza, e nella nuova "forma" dalle tinte gialle, fornisce occasioni di approfondimento per tante tematiche e spunti di riflessione importanti sulla società. Per me, quindi, non "picaresco", ma dolce e profondo come sempre.
Recensioni
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Che Giampaolo Rugarli veda non solo Il buio di notte, come recita quest'ultimo suo titolo, ma anche quello del mattino e del mezzogiorno è cosa nota. Con qualche rada eccezione (La divina Elvira, romanzo pucciniano del '99, e il mémoire familiare I giardini incantati, uscito nel 2005), tutta la sua produzione recente è ispirata a una disillusione assoluta e sarcastica. Negata ogni possibile metafisica, resta da raccontare lo sfarinamento di una società, quella italiana, che l'autore ha conosciuto dal punto di vista privilegiato delle banche.
Laureato in giurisprudenza a ventidue anni, è assunto nell'ufficio legale della Cariplo. A trentanove anni diventa direttore della sede romana, per tornare poi a Milano a dirigere prima l'ufficio studi, poi la politica culturale dell'istituto di credito. Con Vito Laterza, Rugarli è anche fondatore della "Rivista milanese di economia" e dei relativi "Quaderni". In quel periodo tormentato per i conti pubblici statali, fa tuttavia la conoscenza di grandi personaggi del panorama economico nazionale: Paolo Sylos Labini, Guido Carli, l'allora giovane Mario Monti, soprattutto Federico Caffè, l'accademico misteriosamente scomparso nel 1987. Questa congerie di dati paratestuali è indispensabile, anche se certo non necessaria, all'intelligenza di un lavoro ambizioso come quest'ultimo romanzo.
Innanzitutto la mole: 345 pagine, stampate però molto fitte, che danno l'idea visiva, d'altronde confermata alla lettura, di un testo più lungo. Poi, la difficoltà di inquadramento in un genere preciso. Qui si racconta di una città (Milano) dominata da una corruzione che la pervade a tutti i livelli, a cominciare da un clero che è vocato piuttosto alla commistione con il potere economico che alla conversione delle anime. Il potere economico è d'altronde legato a quello politico, e tutti e due sono però legati da un vincolo segreto di comunanza, di appartenenza cioè a circoli comuni che, secondo uno dei tanti personaggi messi in scena dall'autore, sono il risultato della democrazia italiana degenerata. Non mancano, contraltari non sempre convinti di sé medesimi, le figure positive: il dipendente del commissariato che narra con la sua voce la prima parte della storia, una suonatrice d'arpa di cui è innamorato e che si chiama addirittura Luisa Paradiso. Lo stesso commissario Benincasa, disegnato senza vergogna con i tratti di un caratterista della commedia italiana anni cinquanta, pare esente dall'atmosfera di veleni e turpitudine che avvolge la narrazione. Non di meno, sono proprio queste presenze in certo modo rasserenanti a mettere in maggior risalto lo stato delle cose.
Lo sviluppo della vicenda presenta molte somiglianze, certo non sgradite all'autore, con scandali grandi e piccoli degli ultimi anni di vita italiana: da Mani Pulite in poi, per sbrigarla con una certa ferocia giornalistica che Rugarli conosce e qui e là si picca pure di adoperare. Perché, come di consueto ma più ancora del solito, questo romanzo è un esempio felice del poliglottismo intrinseco alla visione del mondo dell'autore. Nel Buio di notte tutti i registri tonali hanno la stessa dignità, possono mescolarsi e ingenerano un caos che, sembra suggerire il suo ideatore, è il punto di partenza e anche d'arrivo della narrazione e delle cose. Se non ci si può salvare con i fatti, una via d'uscita è forse raccontarli; ma siccome la realtà supera la fantasia del romanziere, allora rimangono il paradosso, l'iperbole, il mistilinguismo che, in Rugarli, è piuttosto mescere idioletti che lingue. A ben vedere, è qui un ulteriore paradosso. Rugarli, esperto ormai di pessimismo della ragione, rimane tuttavia convinto delle possibilità di reinventare un presente deteriore attraverso la narrazione. L'impronta quasi saggistica, senza dubbio cronachistica di certe descrizioni macabre incluse nel romanzo gli donano un tocco iperreale che può ricordare un altro grande irregolare della letteratura italiana, cioè il triestino-genovese Enrico Morovich; il gusto per i dettagli di sapore economicistico risente di certa saggistica divagante e arguta, da Carlo Maria Cipolla a Giorgio Ruffolo; la morte del vescovo mentre celebra la messa per il trentennale della sua ordinazione ostenta una dimensione grottesca che non sarebbe spiaciuta a Luis Buñuel.
Rugarli persegue un suo progetto in un buen retiro dei meno frequentati: Olevano Romano, un paesino cui ha dedicato un libro dalla titolazione meravigliosa (Olevano, la patria romantica). È forse solo da quella distanza che si colgono con tanta acutezza i contorni di una società notturna anche di giorno. Giovanni Choukhadarian
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