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Winterling riesce con notevole perizia e certo non minore audacia a districarsi attraverso la fitta rete delle fonti che da Seneca a Svetonio ci hanno restituito l'iconografia del tanto temuto tiranno, pazzo perché sprezzante delle leggi e delle istituzioni e autoproclamatosi dio in terra, insomma rispondente perfettamente al caso emblematico della "follia cesarea", ma cosa vi è dietro e cosa sappiamo davvero di Caligola? L'ipotesi è affascinante e getta una nuova luce su quello che poteva essere il principato immediatamente posteriore ad Augusto: nominare console un cavallo da corsa, allestire uno scenografico e maestoso ponte di barche nella baia di Pozzuoli, fingere di discorrere con le divinità lunari, forse ciascuno di questi gesti rientrava in una logica precisa del gioco politico, umiliare il senato, smascherarne l'ipocrisia, nominare apertamente il meccanismo delle adulazioni e delle relazioni opportuniste di cui si sostanziava la vita pubblica della classe senatoria che veniva così di fatto esautorata, privata definitivamente se non dei suoi mezzi di pressione certo della sua dignità e credibilità, e costretta a credere e quindi ammettere che il potere era nelle mani di una sola persona e comportarsi di conseguenza, cioè da una parte umiliandosi ancora di più, dall'altra architettando o favorendo congiure. Winterling descrive il quadro con gli strumenti giusti, con chiarezza e coesione, dichiarando esplicitamente fin dove è possibile ricostruire il contesto e dove invece non si è più in grado di interpretare l'indefinitamente interpretabile, così che il testo si dimostra perfettamente accessibile a un più ampio pubblico.
Winterling si dedica ad uno dei più controversi imperatori. A causa della damnatio memoriae di cui è stato vittima, oggi lo conosciamo come imperatore pazzo, ma grazie a questa biografia, cogliamo tutta l'astuzia di questo personaggio, dedito a denigrare l'aristocrazia romana. Davvero un bel saggio, merita di essere letto.
Winterling prova a scavare nella vita dell’Imperatore che è passato alla storia (forse in compagnia di Nerone) come il più folle, il più cinico, il più fuori controllo, dell’intero periodo della Roma Imperiale, cercando di confutare questo giudizio, che da sempre accompagna la figura di Caligola. La tesi infatti che dà corpo al suo libro, è che in realtà, non ci troviamo di fronte ad un autocrate psicopatico, ma che dietro ogni suo gesto di “follia”, si celava comunque il perseguimento di obbiettivi e scopi non casuali. Seguendo questo schema, l’autore procede con lo smontare uno per uno i tanti aneddoti tramandati, talmente celebri da essere noti anche ai non appassionati di storia (il cavallo fatto senatore, le minacce di morte improvvise e totalmente immotivate, dirette ai propri commensali ecc ecc), ricostruendoli all’interno di un quadro di ipotizzabile razionalità. E’ impossibile sapere come stavano le cose; se ci rifacciamo all’adagio “che la verità sta nel mezzo”, possiamo immaginarci Caligola come un personaggio ambiguo, con accessi di follia, in uno schema mentale comunque non privo di una qualche logica (cosa non cosi anomala, se si pensa anche ai tanti protagonisti dell’attuale scena politica internazionale).
Recensioni
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Questo libro può essere letto in due modi: come una saggio biografico su Caligola, il giovane imperatore che regnò a Roma dal 37 al 41 d.C., e come un libro a tesi, teso a dimostrare che il medesimo Caligola non era pazzo e che la leggenda della sua follia nacque molti anni dopo la sua morte. Il titolo dell'originale ( Caligula. Eine Biographie ), pubblicato a Monaco nel 2003, sembra indirizzare più verso la prima opzione, mentre il sottotitolo italiano sposa decisamente la seconda.
Cominciamo dalla biografia. Winterling insegna storia antica a Friburgo e ha all'attivo ricerche di storia imperiale romana: si muove con perizia tra le fonti antiche e possiede una scrittura agile e accattivante, a giudicare dalla traduzione (che non è esente da pecche: segnalo un Corbulo per Corbulone ). Due qualità che saranno apprezzate sia dagli specialisti sia soprattutto dal più vasto pubblico di cultori e di curiosi, a cui il libro è espressamente dedicato, con un taglio divulgativo che esclude l'analisi della bibliografia moderna e relega l'apparato erudito in otto pagine di note. In quattro capitoli è passata in rassegna la vita del principe, dai primi anni al seguito del padre Germanico negli accampamenti militari agli ultimi cinque al potere, scanditi in tre momenti: un primo periodo di concordia con il senato, la rottura dei buoni rapporti, la voluta persecuzione sistematica dell'aristocrazia. All'ultimo periodo di vita è dedicato un capitolo a sé, cui seguono poche pagine sull'origine della "calunnia" della pazzia.
Quanto alla tesi di fondo, convince solo fino a un certo punto: Winterling non appartiene a quella schiera di revisionisti che vedono come un dovere trasformare efferati tiranni in benefattori dell'umanità e giudica con equilibrio; ha buon gioco a ricordare che nei primi due anni di regno Caligola si comportò con assennatezza e rispetto (ma questo non esclude che il cambiamento successivo sia stato di natura patologica) o che le tendenziose fonti senatorie sono sistematicamente ostili ai principi che si rifiutarono di seguire il modello augusteo di collaborazione con il senato (ma proprio Svetonio, a cui si dovrebbe l'invenzione della pazzia, era di origine equestre e, pur distando un secolo dai fatti, aveva accesso agli archivi riservati). L'autore accetta come vere tutte le follie che la tradizione attribuisce a Caligola, comprese la nomina di un cavallo a senatore e la costruzione di un gigantesco quanto inutile ponte di barche nel golfo di Napoli, e ne riconosce l'inaudita crudeltà verso i senatori. Solo che giudica tutto ciò frutto di un complesso e cosciente tentativo di azzerare la classe senatoria, capace solo di atti di fasulla sottomissione e continue congiure.
Caligola, però, dilapidò una fortuna pur di averla vinta sugli aristocratici, progettò di spostare la capitale ad Alessandria per farsi adorare come un dio e finì per scontentare tutti, tanto che a ucciderlo non furono gli aborriti senatori: forse non è sufficiente per parlare di pazzia conclamata (e quale medico potrebbe esprimere questa diagnosi a due millenni di distanza?), ma pare indizio perlomeno di un significativo squilibrio, forse inevitabile nella mente di un giovane giunto troppo presto a disporre di un potere illimitato e senza freni.
Ermanno Malaspina
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