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Il titolo del libro, una citazione dell'omonimo film di Francois Truffaut del 1978, ci indica un luogo chiuso, circoscritto, che è anche lo spazio di un accadimento. Esso mette subito in evidenza un carattere di artificiosità. La camera verde, e cioè il giardino, rappresenta lo scenario ideale in cui ambientare la finzione cinematografica. Se ne era già accorto Lumière che, con il suo L'arroseur arrosé (1895), pone un giardino e un giardiniere al centro della prima gag della storia del cinema. Gianluca Trivero, saggista e copywriter, forte della sua rubrica a tema sulla rivista "Gardenia", setaccia la storia del cinema alla ricerca dei film che pongono il verde artificiale del giardino come scenario delle loro narrazioni. Passando in rassegna ben centotrentanove film (ordinatamente citati nell'indice a fine libro), l'autore li raccoglie in quattro grandi antitesi filosofiche: "naturale/artificiale", "finito/infinito", "amore/morte", "ordine/ disordine". Si tratta di film per lo più colti, a volte tratti da testi letterari, che utilizzano l'iconografia floreale per veicolare ulteriori significati o rispecchiare con immagini sentimenti difficilmente descrivibili a parole. Geometrici giardini all'italiana, pettinati prati all'inglese, roseti aggrappati a gazebi in ferro battuto, serre ottocentesche si oppongono a impenetrabili boschi o brughiere selvagge recitando un ruolo determinante all'interno della narrazione filmica. È merito di questo libro quello di indurci a ripensare a tanti lungometraggi da un nuovo punto di vista: quello del verde.
Chiara Casotti
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