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Bollati Boringhieri (Nuova cultura 60.); 1997; 9788833910239; Copertina flessibile con risvolti ; 22 x 15 cm; pp. 351; Prima edizione.; Presenta leggeri segni d'uso ai bordi, timbro ex-libris, interno senza scritte; Molto buono, (come da foto). ; Dalla Cuba di fine Ottocento colonizzata dagli spagnoli al Sudafrica dopo la guerra dei boeri, ai campi di concentramento che contraddistinguono il Terzo Reich nazista, ai Gulag staliniani e oltre, la storia degli ultimi cent'anni appare tragicamente segnata dalla «forma Lager». Ma se ogni campo di concentramento è di per sé un crimine contro l'umanità, non per questo essi sono identici tra loro per finalità, obiettivi, presupposti che li motivano, logiche che li governano. Vi sono campi il cui scopo principale è spargere il terrore tra chi vi è imprigionato ma ancor più tra coloro che continuano a vivere tranquillamente fuori, sapendo però di poter finire al di là del filo spinato. Vi sono invece campi finalizzati a costruire riserve di manodopera schiava da impiegare in opere che il regime considera indispensabili e che ritiene opportuno condurre a termine secondo tali modalità barbariche. E vi sono state ancora altre varianti, senza contare che le diverse forme possono coesistere o succedersi nel tempo. Questo volume vuol essere un contributo a una storia della «forma Lager» nel nostro secolo, attraverso un'analisi delle tipologie, una ricostruzione di lungo periodo e una comparazione condotta in particolare sui campi della Germania nazista e dell'Unione Sovietica. Le funzioni e la situazione esistenziale degli esseri umani che a vario titolo - prigionieri, guardiani, profittatori furono coinvolti nell'universo concentrazionario costituisce l'oggetto di un'approfondita trattazione che, proprio perché comparata, colma una lacuna nel pur ricco panorama storiografico e memorialistico. ; L’immagine se disponibile, corrisponde alla copia in vendita.
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Ció che desta rammarico é solo la la recensione al libro sopra riportata. Evidentemente ancora nel 1997 (anno della recensione)derive ideologiche impedivano (come impediscono ancora oggi) a qualcuno l'equiparazione dei totalitarismi e delle tragedie da loro procurate e inducono a cercare improbabili e tristi distinzioni per trovare una giustificazione all'ingiustificabile. Mi sembra assai deprimente che per condannare in modo netto - come doveroso - l'universo concentrazionario nazista ancora qualcuno possa mascherare la realtá dei milioni di morti nei gulag sovietici in nome di un "progetto di trasformazione della societá". L'Unione Sovietica é stata probabilmente la piú grande tragedia del XX secolo. Ma per qualche critico e storico sembra che i milioni di morti per mano del terrore rosso valgano qualcosa in meno dei milioni di morti per mano del terrore nero.
Recensioni
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scheda di Pecchenino, C., L'Indice 1997, n.10
Storico polacco ed ex deportato nei lager nazisti, Kaminski analizza con taglio comparativo origini, organizzazione, sviluppi e fini dell'istituzione concentrazionaria. Distinti i primi campi di concentramento sorti nelle guerre coloniali tra Otto e Novecento da quelli poi creati da bolscevichi e nazisti, l'autore, che a questi ultimi dedica gran parte della sua analisi, ne individua le specificità funzionali nell'irradiazione del terrore e nello sfruttamento a fini produttivi di una forza lavoro schiavizzata. Al di là di analogie più o meno sostanziali, ciò che farebbe della prassi concentrazionaria sovietica il vero "modello" (seppur non la causa) di quella nazista sarebbe la primigenia creazione di spazi fisici e concettuali di extragiudiziarietà interamente affidati all'arbitrio della polizia terroristica. Spazi, peraltro, in continua espansione e perciò destinati a condurre a un'inevitabile "lagerizzazione" dell'intera vita politica e sociale dei due regimi: il che farebbe dei lager non "un mezzo puramente tecnico-poliziesco per privare dei propri diritti alcuni cittadini", ma un "mezzo politico generale" per privare tutti di tutti i diritti. Al di là del problema dello stato delle fonti sull'Urss nel 1981 e di talune derive ideofobe (che individuano le radici dei lager in Platone, in More o nel "Manifesto" del 1848...), ciò che meno convince è il tentativo di estendere la comparazione tra i due "sistemi statali concentrazionari" fino a equipararne le stesse pratiche genocidiarie: sottolineare la comune pulsione all'identificazione di nemici "oggettivi" in base a criteri "nazionalrazziali" non risolve in realtà la complessità del rapporto tra campi di concentramento e di sterminio; così, caratterizzare semplicisticamente i processi di trasformazione sociale avvenuti in Urss e i conseguenti massacri in senso puramente ideologico, evidenziandone solo un'irrazionalità economica e militare "analoga" a quella che avrebbe segnato lo sterminio nazista di zingari ed ebrei, non basta a togliere a quest'ultimo quell'unicità che gli viene da una gratuità assoluta e ineguagliata. Che un'opera per altri versi arricchita dal profondo coinvolgimento etico-politico dell'autore ceda a una semplicistica equazione, talora non priva di venature russofobe, tra Treblinka e Kolyma, non può che destare qualche rammarico.
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