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GORZ, ANDRé, Metamorfosi del lavoro, Bollati Boringhieri, 1992
GORZ, ANDRé, Capitalismo, socialismo, ecologia, manifestolibri, 1992
recensione di Mazzetti, G., L'Indice 1993, n. 6
Questi due testi, pubblicati a breve distanza l'uno dall'altro, perseguono dichiaratamente un duplice scopo, con il quale l'autore si cimenta da lungo tempo (si vedano anche i suoi precedenti lavori): da un lato, articolare una critica radicale della società capitalistica, soprattutto per il ruolo dominante che la ragione economica nel suo ambito ha assunto, dall'altro, fornire un nuovo riferimento al socialismo, attraverso una riformulazione delle sue condizioni. È fuori di dubbio che queste due problematiche vengano affrontate da Gorz con grande coerenza espositiva e attraverso un approfondimento analitico caratterizzato da una grande ricchezza di argomenti, anche se non tutti i passaggi sono da condividere.
Il discorso prende avvio dal riconoscimento di una tendenza evolutiva che, secondo l'autore, si sta affermando nelle società economicamente avanzate e che impone un interrogativo centrale: "qual è l'avvenire di una civiltà le cui tecniche via via più efficaci creano sempre più ricchezza con progressivamente meno lavoro?".
La tendenza normale degli studiosi di scienze sociali è quella di considerare la crisi in atto come un evento congiunturale che, una volta superato, potrà lasciare spazio a un nuovo sviluppo da realizzare sulla stessa base sulla quale poggia ora la vita sociale. Il problema, per loro, è pertanto solo quello di escogitare nuovi modi per produrre lavoro e per reperire le risorse necessarie a metterlo in moto. Gorz non solo non condivide questo approccio ma sostiene anche, in maniera convincente, che una buona parte delle difficoltà attuali derivano proprio dal fatto che ci si ostina a perseguire questo obiettivo. L'ostacolo, a suo avviso, non sta tanto nella mancanza di strumenti adeguati, quanto piuttosto nel fatto che l'obiettivo è in sé irraggiungibile, perché contraddittorio. Concentrandosi sul suo perseguimento le società economicamente avanzate dissipano le loro energie sociali e diventano del tutto insensibili all'esplorazione delle alternative possibili.
Il passaggio forse più complicato, ma anche più riuscito, è quello nel quale Gorz cerca di dimostrare che il lavoro al quale ei riferiamo quando ci confrontiamo con il problema della disoccupazione non è in alcun modo immediatamente identificabile con l'attività produttiva in generale. Se parliamo di "lavoro" a proposito di una moltitudine di attività produttive e riproduttive è solo perché ricorriamo a una ingannevole analogia Questa analogia, che certamente non fa alcun male nel parlare quotidiano, determina invece una confusione non appena ci si voglia coerentemente confrontare con il problema della possibilità o meno di un accrescimento del lavoro. È fuori di dubbio infatti che nel tessuto sociale si fa esperienza di una moltitudine di bisogni insoddisfatti. Se questa esperienza viene metabolizzata facendo leva sull'analogia produzione=lavoro, si può finire con il dedurre, surrettiziamente e arbitrariamente, che è sempre possibile e necessario espandere il lavoro. L'eventualità che i bisogni che stanno prendendo corpo attraverso lo sviluppo non possano essere soddisfatti attraverso il lavoro, puramente e semplicemente viene ignorata.
Nell'argomentare su questo lavoro Gorz da un lato si appoggia a Marx, ma dall'altro se ne discosta sensibilmente, perché nega molte delle mediazioni e le conclusioni alle quali l'analisi marxiana giunge. In particolare egli nega che "questo lavoro idiota, mutilante, estenuante, rappresenti", come crede Marx, "un oggettivo progresso, nella misura in cui sostituisce ai produttori privati, agli artigiani, i 'lavoratori generali', i proletari, determinando così la nascita di una classe per la quale il lavoro è immediatamente lavoro sociale, determinato nei suoi contenuti dal funzionamento della società in quanto insieme", con la conseguenza che "per tale classe è di interesse vitale, imperativo, impadronirsi del processo sociale di produzione nel suo insieme".
In che senso il lavoro è un fenomeno sociale che si presenta nella sua pienezza soltanto nella società moderna? "La razionalizzazione economica del lavoro-precisa Gorz-non è consistita semplicemente nel rendere più metodiche e più adatte allo scopo le attività produttive preesistenti. È stata una rivoluzione, una sovversione del modo di vita, dei valori, dei rapporti sociali e con la natura; l'invenzione, nel pieno senso del termine, di qualcosa che non era mai esistito prima. L'attività produttiva si separava dal suo senso, dalle sue motivazioni e dal suo oggetto per diventare il semplice mezzo per guadagnare un salario. Essa cessava di far parte della vita per diventare il mezzo per 'guadagnarsi da vivere'. Il tempo di lavoro e il tempo di vita si disgiungevano; il lavoro, i suoi attrezzi, i suoi prodotti assumevano una realtà separata da quella del lavoratore e dipendevano da decisioni estranee... In altre parole, il lavoro concreto ha potuto essere trasformato in quello che Marx chiamerà 'lavoro astratto' facendo nascere... il lavoratore-consumatore... per il quale lo scopo essenziale del lavoro è guadagnare di che comprare le merci prodotte e determinate dalla macchina sociale nel suo insieme".
Nell'ambito di questo rapporto di produzione, prevale la preoccupazione di "utilizzare i fattori della produzione nel modo più efficiente possibile". I costi per unità di prodotto tendono così ad essere ridotti al minimo. Anche il lavoro, spogliato di tutte le limitate precedenti forme di manifestazioni di sè, si presenta come un mero costo, viene incluso tra le condizioni oggettive della produzione, e la sua incidenza tende ad essere ridotta al minimo.
"Il tempo di lavoro economizzato a livello della società, grazie alla crescente efficienza dei mezzi impiegati, è tempo disponibile per una produzione addizionale di ricchezza". Per tutta la fase dello sviluppo della società borghese esso è stato nuovamente trasformato in tempo di lavoro ed è stato impiegato a soddisfare i bisogni dei settori produttivi emergenti. Vale a dire che, in un primo tempo, la produzione industriale si è potuta via via allargare anche e soprattutto attraverso questo processo di liberazione del lavoro dalle preesistenti attività. Ma a partire dagli anni sessanta l'incremento della produttività nell'industria ha sopravanzato l'espansione dei suoi mercati ben più marcatamente di quanto non era accaduto nella fase del primo keynesismo. La popolazione industriale sta quindi subendo una contrazione del tutto analoga a quella che ha precedentemente subito la popolazione agricola.
Non pochi studiosi di scienze sociali, di fronte a questa evoluzione, si limilano a ipotizzare la possibilità di una espansione dei servizi. Gorz li cita ampiamente e analizza i loro argomenti in maniera approfondita, ma poi si chiede: questa invasione del terreno riproduttivo da parte della razionalità economica su scala allargata è veramente possibile? Che si possa produrre efficacemente una tonnellata di acciaio o un quintale di grano facendo astrazione dalle particolari relazioni individuali sottostanti ai processi di ottenimento e di utilizzazione di quei beni si è dimostrato storicamente vero. Ma è altrettanto possibile fare un figlio facendo astrazione dal senso dell'essere padri e madri o aver cura di qualcuno senza avere alcun interesse per la sua particolare persona? Il "regno della razionalità economica" è senza limiti o ha un limite?
Poiché questo interrogativo investe direttamente il problema della libertà, è ovviamente parte integrante di qualsiasi coerente riflessione sul socialismo. Se si seguono gli studiosi ortodossi e si individua nel lavoro la sola forma dell'attività capace di soddisfare bisogni, l'unica evoluzione possibile è quella che conduce a una scissione della società, in un nucleo dominante, che include anche una ristretta cerchia di nuovi lavoratori, e in una massa di dominati che sono chiamati a svolgere un lavoro di natura servile. Ci troveremmo pertanto di fronte a una società che elude il problema della libertà.
Ma questa evoluzione è veramente probabile? No, sostiene apertamente Gorz. Gli individui riconoscono ormai apertamente di non riuscire ad affermare la loro individualità all'interno del lavoro. Gorz richiama qui le ricerche svolte in alcuni paesi europei e conclude che proprio questa esperienza soggettiva rende problematico uno sviluppo che si basi sull'espansione del lavoro servile. "Poiché la qualità della vita dipende dall'intensità degli scambi affettivi e culturali, dalle relazioni fondate sull'amicizia, l'amore, la fraternità, l'aiuto reciproco", ne scaturisce una tendenza a ricercare le vie della propria soddisfazione al di fuori del lavoro.
Da questa constatazione, invero svolta in modo molto più approfondito di quanto non sia qui possibile riassumere, scaturisce la proposta di Gorz di procedere a una riduzione del tempo di lavoro attuata attraverso una redistribuzione del lavoro rimasto da fare.
Si potrebbe in qualche modo sostenere che attraverso questi passaggi, svolti prevalentemente nella seconda parte di "Metamorfosi", Gorz cerchi di ridefinire in termini soggettivistici, cioè fondati su un'etica, quel processo che Marx ha a suo tempo cercato di fondare in termini oggettivi, cioè come sviluppo di una contraddizione interna al sistema. Non tutto di questa seconda parte è convincente. Essa appare però come un ricco tentativo di approfondimento che offre spunti validissimi per discutere coerentemente sulle forme prossime venture del socialismo.
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