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«Gli occhi vivaci, sì, ma incaverniti» è scritto nell'epitaffio di Michelangelo Merisi, il Caravaggio: il tratto fisico che verosimilmente di più colpiva i suoi contemporanei. L'intenso lume dello sguardo, ma con qualcosa di fosco, di forte e profondamente oscuro. Ed è, si può dire, questo stesso inquietante contrasto - una luce vivida da cui traspare però il torbido fondo - la sintesi del fascino che la sua figura esercita attraverso il tempo, come la sua pittura: un mescolarsi misterioso di forza e vitalità ma con una premonizione di dramma e di morte, un naturalismo radicato nei sensi ma con una ispirazione inquieta. Pur essendo il più ricercato pittore dei tempi suoi, era considerato già allora un uomo strano e bizzarro, con pochi legami. Visse poco più che trent'anni, una vita geniale ma violenta, in anni violenti e in una società violenta, com'erano i tempi a cavallo tra Cinquecento e Seicento quando l'Italia, che Caravaggio corse dal milanese alla Sicilia e Malta, entrava nel Barocco e nella Controriforma e cadeva sotto il dominio egemonico di Spagna. Fu un assassino e finì disperato in circostanze poco chiare. Caravaggio, osserva Helen Langdon in questa che è finora la biografia più completa: «era infaticabile, inquieto, sempre in movimento, come in preda a una timore rabbioso, considerato pazzo». E già a chi aveva conoscenza diretta di lui, molte zone del personaggio e del suo vivere restavano in ombra, indecifrate. Una scarsità di notizie che ha alimentato inesattezze e favole, e la generale incertezza biografica che questo lavoro viene a riparare. Proiettando, com'è naturale, Michelangelo Merisi sullo sfondo dei movimenti e delle vicende della sua età, ma senza rinunciare a rappresentare, con vivida curiosità letteraria e psicologica, la drammatica spiritualità che lo scuoteva, e quella strana empatia che gli faceva assorbire, nella pittura, i colori e, nel vivere, le atmosfere dei luoghi diversi dove la fortuna o la fuga lo avevano gettato.
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