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In questo volume coerente, nato da un congresso originale (il XVIII Congresso internazionale sull'alto medioevo, Susa-Novalesa, ottobre 2006), alcuni dei maggiori archeologi e storici dell'arte del mondo hanno affrontato il problema della comunicazione fra i due versanti alpini e della circolazione di modelli, tenendo largo il campo cronologico di osservazione, fra il secolo VII e l'inizio dell'XI: gli anni di Carlo Magno sono stati considerati il centro di una fase di incontri fra popoli, così come l'arco alpino è stato, giustamente, analizzato come centro materiale di quegli incontri.
Non ci sono risposte preconfezionate, come ben si vede dalle pagine in cui gli storici ricostruiscono il contesto. Patrick Geary dimostra che le Alpi non formavano un'unità storica sociale e culturale: su di esse i Franchi si mossero con cautela, sia perché cercavano la cooperazione con le preesistenti autorità locali, sia perché non erano portatori di un'identità coesa e contrapponibile, in termini di civiltà, ad altri popoli cosiddetti germanici. Simona Gavinelli trova conferma di un'attitudine caratteristica della corte carolingia, cioè la rielaborazione di compilazioni giuridiche, civili ed ecclesiastiche di varia provenienza, ma ricorda che i codici dell'età di Carlo Magno risultano avere efficacia in età anche molto posteriori. Giuseppe Albertoni individua nelle Alpi un'area di perenne conflitto anche quando le regioni che convergono sulla catena montana vivono stagioni di pacificazione interna: lo status di queste regioni concorre a un mosaico istituzionale equilibrato proprio negli anni di Carlo Magno. Mentre bisogna attendere l'875 perché le politiche regie di controllo dei valichi diventino fondamentali.
Alcuni fili rossi che attraversano il volume si trovano nelle pagine di Germana Gandino, che si interroga sull'esistenza tra i Franchi di un'ideologia dell'espansione. La risposta è positiva ma particolare: le linee di fondo di quell'ideologia erano già state sperimentate in età merovingia, e portatori ne erano essenzialmente vescovi-intellettuali che, attingendo a categorie di tipo profetico, da un lato auspicavano il realizzarsi della vittoria inevitabile, dall'altro procedevano a una propagandistica franchizzazione della storia precedente le conquiste di Carlo Magno. Il rapporto con il passato, che appare così importante, non è "esumazione", bensì "nascita".
Nell'impossibilità di dar conto di tutte le diciotto relazioni, ricordiamo ancora come Ermanno Arslan ridimensioni in parte la riforma monetaria di Carlo (il bimetallismo oro-argento fu importante soprattutto per l'importazione nell'Italia dei Longobardi, che lo ignoravano), e come Renato Bordone abbia interpretato anche in chiave politica i miti postumi relativi al rapporto fra il grande imperatore e le regioni alpine. Giuseppe Sergi
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