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"Il fatto che l'italiano fosse una lingua straniera per Pound dà a questi opuscoli (...) una continua sfasatura, una imprecisione espressiva che lo rendono involontariamente affascinante". Così scriveva Pasolini recensendo tre saggi "economici" italiani del poeta americano trapiantato a Rapallo, riediti da Scheiwiller nel 1973 con il titolo Lavoro ed usura . Ma poi si chiedeva se l'uso da parte di Pound di un italiano "inesistente" fosse veramente involontario, o piuttosto "fatto col vezzo supremamente elegante di chi sfrutta la propria ignoranza" per comunicare, per chiacchierare, abbandonandosi al "momento puramente fàtico della lingua".
La citazione di Pasolini è tratta da una delle fitte e accurate note che corredano le Carte italiane 1930-1944 , dove Luca Cesari ha riunito per la prima volta, con criteri rigorosi e ragionati, in un corpus di saggi, articoli, lettere, aforismi ecc., la prosa battagliera in italiano dedicata in un quindicennio da Pound non a temi d'economia politica, ma a letteratura e arte.
La domanda che si poneva Pasolini torna a proporsi con forza anche in relazione a queste prose lampeggianti, nelle quali "l'americano meno americano della storia" parlava dei suoi argomenti preferiti nell'amata lingua di Dante e Cavalcanti. Prima dell'approccio sistematico di Cesari, altri aveva giudicato l'italiano di Ezra "periglioso" (Verdino), "dantesco-espressionista" (Anceschi), "curioso e impetuoso" (Barile). L'anglista Massimo Bacigalupo (che aveva già riunito nel 1985 in Un poeta a Rapallo scritti apparsi sul supplemento letterario di "Il Mare" di Rapallo, promosso e curato da Pound nel 1932-33), sostiene che in fondo Pound "può anche essere considerato scrittore italiano, oltre che residente in Italia per gran parte della sua vita attiva".
Carte italiane offre la sorpresa dell'inedito, perché riunisce scritti apparsi in pubblicazioni rare e in fogli dispersi o poco diffusi. Oltre al "Mare", ricordiamo "L'Indice", periodico che usciva negli anni trenta a Genova. E poi "Prospettive", "Lettere d'oggi", "Vedetta Mediterranea", "Maestrale", "Belvedere", "Meridiano di Roma", "Almanacco Bompiani", "Libro e Moschetto", "La Stampa", "Il Lavoro". Testate che citiamo per far capire quanto vivacemente il poeta dei Cantos volesse essere presente in quegli anni nel dibattito letterario-artistico italiano, soprattutto su fogli destinati ai lettori comuni.
Com'era l'italiano in cui Pound s'avventurava a scrivere? Secondo il risvolto di Mary de Rachewiltz, figlia del poeta, Cesari è il primo ad aver posto l'accento sull'amore del padre per la lingua italiana e "sull'uso che ne fa". Un italiano "strumentale" e non letterario, un pensiero parlato e, anche per questo, abbreviato, veloce, scritto senza perdersi nei bellettrismi da elzeviro che inquinavano, secondo lui (e aveva ragione), buona parte della letteratura italiana d'allora. Una lingua provocatoria, dunque, straniera e nostrana insieme, d'impianto espressionista, destinata non all'élite ma alla comunità, adatta all'Italia del tempo (all'Italia che coerentemente-ingenuamente Pound avrebbe voluto si rispecchiasse nelle idee-guida proclamate dal fascismo, ridotte nella realtà a vuota retorica). Non il detestato italiano "imbottito" di rievocazioni latine e di imitazioni francesi, ma violentemente accorciato, perentorio, intenso, in cui parola e pensiero avessero un'immediata coincidenza, adatto ai mezzi moderni di comunicazione ma senza identificarsi con essi.
Pound aveva chiaro in testa - e lo ribadiva continuamente - come avrebbero dovuto scrivere (e leggere) i nostri letterati: "Aspetto uno scrittore col coraggio di sputare almeno l'85% del passato italiano, combinato colla pazienza per cercare il valido". Anche per questo il suo italiano, spesso costellato di dialettismi e arcaismi, voleva essere aspro e barbarico. E se ne rendeva benissimo conto: "Devo essere assolutamente incomprensibile la maggior parte delle volte che cerco di usare la dolce lingua toscana (genovese o altro)...".
E quanto al contenuto? Arduo tentare una sintesi di queste vulcaniche Carte italiane . Ne esce confermato il ritratto di un intrepido agitatore culturale che da un luogo in apparenza defilato corrispondeva attivamente con i grandi che nel mondo stavano producendo letteratura e arte del secolo ventesimo. Cercando, con mezzi inusuali e a loro modo ingenui, ma generosamente degni d'un genio, di trapiantarne la lezione in un'Italia amata ma desolatamente provinciale, un'arcadia malata di letteratura.
Carlo Vita
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