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Le 214 lettere, quasi mai banali, che Giuseppe Prezzolini e Giovanni Gentile si scambiarono nell'arco di poco più di un trentennio, non compongono un carteggio di quelli che si offrono al lettore pronti per essere consumati. Che sia forse la presenza incombente di Croce, o forse la scabrosità del carattere di Gentile e la "natura facile e irritabile" di Prezzolini (così la definì Renato Serra in un memorabile profilo), oppure l'inconciliabilità tra la durezza dei concetti gentiliani e la rapida e felice acutezza delle riflessioni di Prezzolini; sia quel che sia, il fatto è che riesce assai difficile leggere questo carteggio tenendone fermi i temi e le linee di pensiero. Temi, come quello del fascismo o del rapporto con Croce, che si presentano solo per accenni; linee che, come quella dell'idealismo militante, quando pare di essere riusciti ad afferrarle, prontamente sfuggono alla comprensione. E va dato perciò ampio merito alla curatrice di aver generosamente fornito l'introduzione e l'apparato di note degli elementi fondamentali del contesto, e di averne introdotti con sottile discernimento altri più laterali. Tra questi piace segnalare la ripresa, a sostegno e chiarimento della tesi sul carattere "esistenziale" dell'adesione di Prezzolini alla filosofia dello spirito, del suggestivo accostamento, proposto non senza cautele da Niccolò Zapponi, tra Freud e Croce, nel nome di un'"adesione a un principio di realtà" capace di "illuminare la giusta via dell'equilibrio interiore" (cfr. Il tempo della "Voce", in Il partito politico nella Bella Époque, Giuffré, 1990).
Anche i temi centrali del carteggio, la riforma della scuola e l'educazione religiosa, non sfuggono a questa sensazione di imprendibilità. E anche per questi è necessario appoggiarsi sul contesto, provvidamente delineato nell'introduzione, e su una robusta esegesi dei testi di contorno al carteggio (tra questi un inedito scritto gentiliano intitolato Il mio anticlericalismo, pubblicato in appendice con gli altrettanto inediti appunti scritti da Prezzolini nel 1972 per una conferenza su Gentile e la "Voce"). Nel carteggio la questione è aperta da Prezzolini il 30 aprile 1909, con la richiesta a Gentile di un articolo per il numero unico della "Voce" (27 maggio) sulla Riforma della scuola. L'articolo fu pubblicato nella prima pagina del numero precedente (20 maggio), perché giudicato da Prezzolini discordante con la tonalità "tecnica" del numero unico; nell'ottobre dello stesso anno Gentile inviò poi alla "Voce" un commento al VII congresso della Federazione nazionale insegnanti scuole medie. Nel ringraziare il filosofo per l'articolo, Prezzolini ripropose una critica già espressa altrove alla prospettiva gentiliana di una scuola improntata alla classicità greco-latina, sostenendo, al di là del paradosso comunque non insignificante ("la scuola veramente classica o umana, come lei vorrebbe, dovrebbe essere anche sanscritista, anzi allargarsi alla cultura ebraica, che ha, nella formazione dello spirito nostro, per via del cristianesimo, tanta importanza"), la necessità di una scuola che esprimesse un senso "moderno" e "tedesco" di cultura. La replica di Gentile, giocata sulla contrapposizione tra un individuo che "quando viene al mondo (
) non sa nulla di nulla" e una "umanità concreta" che è "il solo nutrimento vitale per l'individuo che ne vuol respirare l'aria", mette in luce tutto lo sfasamento tra il piano "pragmatico" espresso con finezza ma alla buona da Prezzolini, e quello aspramente "concettuale" ribadito da Gentile. Uno sfasamento che emerge ancora più chiaramente nel confronto che i due ebbero l'anno successivo sul tema dell'educazione religiosa.
Prezzolini, che attende la nascita del primo figlio, e conosce Gentile come critico severo della scuola "laica" e fermo sostenitore dell'insegnamento della religione cattolica alle scuole elementari, espone all'amico filosofo i suoi dubbi: "Dare a un prete il figliolo mi repugna, e io non mi sento di parlargli di religione (
) Se la mente del fanciullo è naturalmente mitologica, come le teorie sue sostengon giustamente (
) tutto quel che gli dirò assumerà colore mitologico(
) anche quando io (come del resto vorrei fare) non aiuti questa tendenza (
) facendogli veder nella storia qualche cosa di continuo, d'eterno, di sacro (
) credo che sia uno dei compiti dell'uomo moderno di lavorare a questa 'mitologia' pregna di filosofia che permetta di operare sulle future generazioni, per educarle umane nel senso più alto e non più cattoliche e cristiane".
La risposta di Gentile si fa attendere, ma giunge poi nella forma di una lunga prolusione (seguita da un ulteriore scambio di lettere), con due punti fermi: la religiosità materna, che "dev'essere la base (
) perché essa è virtualmente la religione della casa, del primo ambiente, in cui si umanizza lo spirito infantile". E, quando questa manchi, si affidi pure, malgrado la ripugnanza, il figlio a un prete, perché "purtroppo nessuno di noi può farne a meno". Il secondo punto fermo del ragionamento gentiliano, resistente alle accorate obiezioni prezzoliniane ("No, caro Gentile, il mondo è mutato. Non siamo cattolici, e lo spirito non ha passato per nulla dei secoli. Perché dobbiamo privare i nostri figli del cammino già fatto? (
) Ostacoli pratici e ostacoli spirituali si oppongono all'educazione religiosa. Io vedo con essa introdursi nelle famiglie l'abitudine alla falsità (
) e quel ch'è più grave, vedo ostacolato il cammino dello spirito, che ha diritto di non ripetersi, che vuole andare avanti e creare nuovi uomini"), ci riporta a quello sfasamento già intravisto a proposito della riforma della scuola. Il fatto è che nella concezione di Gentile non è proprio concepibile il problema dei valori della civiltà e di una lotta per affermarne alcuni contro altri: "Il mito si trasforma, perché lo spirito (pensiero) si viene trasformando (e progredendo); ma il mito non muore come non muore nulla".
Di lì a pochi anni, passata per Prezzolini la breve stagione della "Voce", che "incominciò crociana e in un certo senso finì gentiliana", e dell'idealismo militante, conclusa la guerra che li vide entrambi interventisti, il rapporto epistolare tra il filosofo "ufficiale" del regime e lo scettico ma fermo oppositore andò attenuandosi. Ma un'eco del tema religioso che li aveva uniti trent'anni prima, nella visione speranzosa (con o senza catechismo in mano) del futuro dei propri figli, risuonò per certo nella mente di Prezzolini con un rintocco ben più cupo (e con la gelida immagine della morte "con il rosario in mano") all'annunzio della fine tragica del filosofo, così da dettargli nel diario parole che, in questa prospettiva, non possono parere distaccate, come paiono alla curatrice, la quale, sorprendendosene, opportunamente le pone però a chiusura dell'introduzione: "È una morte che gli darà un'aureola. Ammiravo l'uomo, la mente, il carattere. Molto simile al Farinata di Dante. E c'era da aspettarsi qualche cosa di simile. Non poteva ignorare di essersi messo in una posizione di lotta che poteva portarlo al trionfo o alla vendetta. Morendo per mano di sicari ha evitato le noie e l'umiliazione di un processo. Mi dicono che Mussolini è molto ammalato, e spero che non muoia con il rosario in mano. Gentile, almeno, non è morto così".
Maurizio Tarantino
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