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Non erano un partito, quelli del "Mondo", s’intende "Il Mondo" di Mario Pannunzio, durato dal 1949 al 1966. Non erano un partito, eppure la loro cerchia disomogenea ha una fisionomia storica così precisa che, per quei vent’anni di dopoguerra, l’approdo al "Mondo" funziona tuttora da indicatore di un modo di voler essere intellettuali. Perciò di Arnaldo Bocelli (1900-1974), saggista di ascendenza crociana, redattore della Treccani, partecipe nell’arco della vita a un buon numero di iniziative e di cospicue testate (dal "Primato" di Bottai, in tempi nervosi di guerra, alla torinese "Stampa", in ultimo), la caratterizzazione principale resta affidata a un mestiere recensorio esercitato con autorità e lungamente sul "Mondo". A ripensare con profitto il dimenticato Bocelli ci costringono Biagia Marniti, scrittrice e amica che ne ha ereditato l’intero archivio, e Laura Picchiotti, che ha inventariato la corrispondenza dal 1921 al 1974; curatrici, ora, di un volume che rende conto del loro lavoro, dei criteri seguiti e della mole di informazioni adunate. Con quanti intrattiene relazioni, necessarie e occasionali, un redattore romano, un critico che si autodefiniva "giornaliero"? L’inventario allinea 6200 carte: lettere e bigliettini, inviti, programmi, telegrammi, e note e minute personali. Con quale ordine o disordine Bocelli, o per lui le circostanze esterne, avranno selezionato il materiale? Quale fiducia nella persistenza e sostanziale continuità della società letteraria e dei suoi collaudati attrezzi, fra i quali appunto il cerimoniale dei contatti e degli scambi, gli avrà fatto conservare per cinquant’anni (anche di guerra e di presumibili spostamenti) una cartolina di Bacchelli, una letterina di Sibilla Aleramo? L’inventario del carteggio agisce come l’indice di un romanzo. Provoca curiosità inappagate. Rinvia alla lettura. Giustamente le curatrici sperano di aver predisposto un apparato che incoraggi il proseguimento dell’indagine sui testi. E di questi danno una campionatura accattivante, riproducendo venti notevoli autografi, da un Ungaretti del 1933 ai maggiori di metà secolo, un dubbioso Vittorini del 1956, un Pratolini immerso nelle polemiche su Metello, una Morante compiaciuta e assai contenta della recensione a L’isola di Arturo, un Calvino professionale che parla di risvolti (e si giustifica, per aver usato Bocelli senza saperlo). Le carte di Calvino risultano undici in tutto. La penultima è un biglietto da visita del 16 aprile 1963. Pochi giorni dopo usciva la recensione del libro allora nuovo, La giornata d’uno scrutatore, di cui Bocelli, estraneo alle diffidenze dell’area comunista, coglieva benissimo la sostanza drammatica di dibattito interiore. Libro imperfetto e tuttavia (scrisse sul giornale) con idee tradotte in figure e figure che lo rendono "indimenticabile". Nel mutamento degli anni sessanta finiva l’esperienza del "Mondo". Il carteggio registra questa parabola di un’idea di critica e di letteratura: critica guidata dal gusto per una letteratura fiduciosa di bastare a se stessa. Fra i nuovi corrispondenti non compare nessuno dei protagonisti dell’avanguardia, nessuno dei teorici della "letteratura del rifiuto", o del "rifiuto della letteratura". Chi scrive a Bocelli nel 1974? I nomi sono sempre numerosi, ma di scrittori vivaci nelle cronache letterarie se ne trovano pochi. Un Carlo Cassola, un Cesare Zavattini. Solitari o invecchiati. Non però conformisti.
recensioni di De Federicis, L. L'Indice del 1999, n. 02
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