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Questo terzo volume dell'edizione critica del carteggio di Labriola è stato sapientemente curato, come i due precedenti, da Stefano Miccolis. Lo stesso studioso, nel 1988, aveva raccolto e presentato più di quattrocento Lettere inedite del periodo 1862-1903. Dopo l'acquisizione delle carte di Labriola da parte della Società napoletana di storia patria e dopo le ricerche accurate condotte da Miccolis presso vari archivi italiani ed europei, i tre volumi di questa edizione mettono ora a disposizione dei lettori, oltre la corrispondenza già nota, altre centocinquanta lettere. Nella nota introduttiva allÆEpistolario di Labriola edito nel 1983, Garin ricordava che "da un dato momento in poi la lettera fu per Labriola lo strumento preferito per esprimere e diffondere le proprie idee, per intervenire nella lotta politica e perfino per insegnare".
Fino all'inizio degli anni ottanta il filosofo napoletano aveva scritto soprattutto libri, saggi e memorie accademiche, anche se non ebbe mai una grande opinione né di quel genere di produzione, né del lavoro dei suoi colleghi di università, "che fingono di non sapere - come scrisse a Croce nel '97 - che sono tutti malati di servitù volontaria". Poi, giunto alla soglia dei cinquant'anni, lo studio sistematico di Marx e di Engels, la grande vittoria elettorale in Germania della Spd e la lezione tratta dal movimento dei fasci siciliani ("la prima autentica forma del socialismo italiano") orientarono Labriola verso il marxismo. La sua corrispondenza, a quel punto, divenne intensa e nuova. Per un verso fu largamente indirizzata ai maggiori dirigenti del socialismo internazionale per presentare le vicende italiane sotto un aspetto scevro da "tendenze nazionalistiche", per un altro funse da momento preparatorio ai tre saggi sul materialismo storico, che Labriola stese di seguito nella seconda metà degli anni novanta. Se Bertrando Spaventa e Benedetto Croce erano stati in precedenza i suoi interlocutori privilegiati, a partire dal 1890 egli trovò in Engels il cervello politico "internazionale" e il "maestro" a cui rivolgersi "per ogni dubbio scientifico, per ogni accertamento di fatti, per ogni consiglio pratico".
Ma nel quinquennio 1890-95 la cifra teorico-politica di Labriola fu soprattutto quella dell'intellettuale demistificatore, che legge in controluce le scelte della classe dirigente italiana (in particolare i propositi autoritari di Crispi e l'incerto pragmatismo di Giolitti) e pungola in permanenza il gruppo dirigente socialista, poco incline, per eclettismo culturale e strategia politica, a propagandare il marxismo e la lotta di classe tra i settori più consapevoli del proletariato. Con Turati, in particolare, dopo una sincera collaborazione iniziale, i rapporti divennero sempre più conflittuali, non perché Labriola avesse anteposto le ragioni della teoria a quelle della pratica, come spesso si è detto, ma perché si rifaceva a una diversa concezione dell'agire politico conseguente a un diverso modo di intendere la teoria. "La linea assoluta del socialismo - gli dirà nel '91 - la intendo quanto voi e direi quasi più di voi, perché ho il temperamento degli uomini estremi, e non sono né positivista, né evoluzionista".
L'intento fermo di Labriola era quello di sollecitare un processo di formazione della partecipazione e della decisione operaia in un partito in cui gli intellettuali non fossero "né padroni, né duci, né intraprenditori, ma soltanto i dotti della compagnia". All'origine della sua intransigenza etico-politica c'era l'idea, riproposta negli stessi anni anche da Rosa Luxemburg e poi da altri teorici della sinistra marxista e libertaria, che il proletariato dovesse acquisire la capacità di autogovernarsi, prima forgiandosi nella lotta, poi dirigendo senza deleghe i processi economici della società futura.
Antonio Labriola morì cent'anni fa, il 4 febbraio 1904. È auspicabile che un curatore attento e appassionato come Miccolis riesca a portare a termine quanto prima gli ultimi due volumi del carteggio. Sarebbe la maniera più degna per ricordare, da un secolo all'altro, un eretico in partibus fidelium come Labriola; convinto, non diversamente da ogni eretico, che i principi della dottrina non si rinnegano, ma deciso anche a riproporli liberamente contro ogni imposizione gerarchica.
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