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Ho iniziato questo romanzo con grandi aspettative, dalle premesse credevo che fosse più un giallo che un romanzo di formazione. In realtà alla fine non credo sia giusto definirlo né l'uno né l'altro, Ha un po' disatteso le mie aspettative e non ci sono veri e propri momenti di suspense. Ci sono, invece, alcuni passaggi con un registro del tutto fuori luogo secondo me (troppo volgari) per il contesto in cui si svolgono. Alcune scene sono sicuramente belle, ma il finale l'ho trovato un po' scontato e non mi ha lasciato nulla. Nulla di memorabile per quanto mi riguarda.
Questo giallo, così viene definito, ha delle buone basi e delle buone idee ma non spicca il volo. Non ci sono colpi di scena e quindi la suspance che dovrebbe essere alla base del libro non si trova. Bella l'idea di inserire descrizioni delle cultura e delle tradizioni dei nativi americani anche se a volte sembrano giusto buttate lì e non approfondite. Scrittura in alcuni punti lenta e, solo verso la fine, la storia si interessante. Finale poco credibile e quasi frettoloso. Insomma, mi aspettavo si più.
Non mi è dispiaciuta la storia, ma trovo questo libro senza infamia e senza lode. Alcune parti e alcuni personaggi potevano essere sviluppati molto meglio, inoltre il finale mi ha lasciato molto perplessa, con elementi inseriti a casaccio. Pur essendo stata una lettura piacevole, non credo comprerò altri libri della Erdrich.
Recensioni
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Non si può leggere un romanzo di Louise Erdrich senza tenere a mente che la scrittrice è un’indiana Chippewa e che l’appartenenza ad una tribù indiana deve essere certificata con prove che mostrino un’eredità indiana per almeno un quarto di sangue. Perché altrimenti non riusciremmo a capire del tutto il profondo coinvolgimento, la conoscenza del folklore che non è esotismo superficiale, l’appassionato tentativo di farci avvicinare ad un mondo che lotta per la sopravvivenza, ad una gente - la sua gente - i cui diritti umani sono stati calpestati, che balzano fuori da ogni suo libro. Anche dal più recente, “La casa tonda”, che prende l’avvio da un crimine purtroppo frequente ovunque - una donna viene stuprata. Nella postfazione si dice che, secondo un rapporto di Amnesty International del 2009 (il libro è ambientato nel 1988) una donna indiana su tre verrà violentata nel corso della vita, l’86% dei colpevoli non sono indiani e pochi vengono perseguiti a termini di legge. Perché questo è uno dei punti chiave del romanzo: la donna che è stata vittima della violenza non sa dove questa sia avvenuta, le era stata messa una federa sulla testa, e, se la giustizia ha le mani legate nel caso non si sappia se il luogo fosse di proprietà statale, federale o tribale - a chi tocca emettere la sentenza?
Non è una famiglia comune, quella che è al centro de “La casa tonda”. Il padre del tredicenne Joe, protagonista ed io narrante del romanzo, è il giudice Coutts, la madre lavora nell’ufficio che gestisce le pratiche di appartenenza alle tribù - sa tutto di tutti. E la lettura preferita del giovane Joe è “Il manuale di diritto federale indiano”. Quando, una sera, Geraldine, la madre di Joe, non rientra, il marito e il figlio non si preoccupano subito. Lei ritorna a casa, è perfino riuscita a guidare l’automobile, non si sa come, perché l’uomo ha usato una violenza brutale su di lei. Geraldine è riuscita a scappare mentre lui andava a cercare i fiammiferi - aveva già versato la benzina, voleva darle fuoco. Il trauma è tale che Geraldine si chiude in un mutismo assoluto, rifiuta il cibo, non esce dalla sua stanza, sembra abbia staccato la spina e rinunci a vivere. Eppure deve sapere chi sia l’aggressore.
L’inizio del libro è molto bello, perché ci piace la spontaneità della voce di Joe che ci racconta di sé, della sua famiglia, dei suoi tre amici, soprattutto di Cappy che è quasi un fratello per lui. E questo - ci è subito chiaro - è un romanzo di formazione speciale, perché la prova che Joe dovrà superare, quella che segna il passaggio all’età adulta, è quanto di più difficile e doloroso si possa immaginare. Joe, la cui sessualità incomincia a svegliarsi, si deve confrontare con la peggiore violenza perpetrata su una donna e la donna è sua madre, deve misurarsi con l’idea stessa di giustizia, senza potersi capacitare di quanto la giustizia sia ingiusta, si trova infine davanti alla realtà della Morte che mette veramente termine a tutto, alle esistenze indegne ma anche a quelle luminose. Ma dentro al romanzo di formazione c’è anche il filone del thriller o del mystery: chi è il colpevole? Perché ha scelto Geraldine come vittima? E chi ha nascosto quarantamila dollari nella bambola trovata da Joe? E la bambola, di chi è, o di chi era?
La parte centrale de “La casa tonda” procede ad un ritmo rallentato con quelle che ci paiono digressioni. In realtà molto spazio è dato, forse perfino troppo, alle scorribande di Joe e dei suoi amici che servono, però, per prepararci a quello che succederà, e altrettanto ai racconti di storie indiane, tra la leggenda e il mito. Storie che parlano dei tempi in cui le praterie erano oscurate dalle mandrie dei bisonti e ad un ragazzo di dodici anni era stato ordinato di uccidere la madre che era posseduta da un wiindigoo, uno spirito del male. Non c’è altro da fare che uccidere la persona in cui si è incarnato un wiindigoo. Sarà il pensiero attorno a cui si arrovella la mente di Joe: ci si può fare giustizia da soli per fermare il Male, laddove non arriva il braccio della Giustizia dello Stato?
C’è tuttavia una resa dei conti, c’è una giustizia superiore, qualunque colpa si paga, prima o poi - è questa la lezione finale di un romanzo che non è perfetto, non è ‘stupendo’ come dice Roth, ma che è semplicemente bello e vale la pena di essere letto.
A cura di Wuz.it
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