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Ho amato molto questo libro, forse ancor prima di avventurarmi nella lettura perché a conoscenza della storia che aleggiava da tempo sul web, anche se forse un po meno romanzata, un libro da leggere tutto d'un fiato, emozionante e a volte triste ....
La storia narrata, vera, perché accaduta veramente, presenta le caratteristiche di un testo tanto caro a certi autori di fine ‘800, specializzati in romanzi d’appendice a tinte forti, la cui maggior rappresentante italiana fu Carolina Invernizio. La differenza è però presente e consiste appunto nel fatto che nulla è inventato, essendo realmente accaduto. La giovane costretta a sposare un uomo in vista più anziano di lei, vedovo e con prole, l’amore quasi incestuoso con il figlio maggiore, ma minorenne, dello sposo, la scoperta della tresca, le conseguenze, fra le quali l’emarginazione, un episodio quasi da lady Godiva, e altro che non sto a riferire, sono proprie di certi romanzi di appendice, ma costituiscono un indubbio motivo di curiosità. In questo contesto la narrazione di Di Pietro, basata su una scelta che vede un resoconto diaristico (inventato) della donna, inframmezzato da riflessioni, appendici, puntualizzazioni dell’autore appare felice perché ha il pregio di coinvolgere senza essere noiosa o debordante, insomma in un sano equilibrio che rende gradevole la lettura. Ripeto però che la vicenda in sé è poca cosa, mentre di interesse non secondario è la ricerca antropologica, la vivisezione di una mentalità che all’epoca non era solo siciliana, con la figura subordinata della donna, sempre oggetto nelle mani degli uomini. L’atmosfera, per certi versi opprimente, l’ambientazione sono accurate, così come l’analisi psicologica del marito tradito; un po’ meno curato è l’approfondimento del carattere della donna, ma da un uomo non è che si possa pretendere più di tanto se non una difesa di una vittima, tale solo per il suo sesso, difesa che traspare chiaramente fra le righe. Tutto ciò considerato e anche per le finalità dell’opera che ho delineato in precedenza sono dell’idea che una lettura della stessa sia più che meritevole, perché Cassandra è un buon romanzo.
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