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Anno edizione: 1996
Anno edizione: 2019
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Piccola ma preziosa gemma di un autore di fine '800 che da violento anticlericale si convertì in fervente cristiano, è giusto contrappeso a certa storiografia farlocca e stantia che troviamo ancora persino sui libri di storia. Léon Bloy piace perché ha idee semplici e precise: il "secolo dei lumi"? «Se ci fu mai qualcosa di piccolo, è il XVIII secolo. Per farlo sembrar grande ci voleva l'eroica dabbenaggine del XIX secolo, e la vacua pedanteria dei nostri dottrinari»(p.21); «L'animale d'elezione e d'affezione del XVIII secolo è la scimmia»(p.22), "incarnata" in Voltaire, Rousseau, Robespierre...; la Rivoluzione Francese? «È così schifosamente priva di grandezza!»(p.19), «sotto al tangibile deficit del Denaro [...] vi era [...] l'incomparabile deficit della Ragione umana»(p.25). Di Maria Antonietta egli scrive una apologia, non una agiografia: «se Maria Antonietta ci tocca così profondamente e signoreggia le anime con un potere tanto sovrano, è solo perché non è una santa»(p.16); «la calunnia ha creato una leggenda sopra di lei, la leggenda ha nutrito a sua volta la calunnia e, davvero, adesso basta con questa solfa»(p.19). «Occorreva un Luigi XVI perché la Rivoluzione fosse possibile, e una Maria Antonietta perché quella rivoluzione non somigliasse a nessun'altra. [...] Quello strano regno fu dunque una pietosa partita a scacchi»(ppg.40-42). Opera che non può mancare sugli scaffali degli amanti della «Reine».
Per apprezzare questo libro bisogna aver prima letto almeno una biografia su Maria Antonietta. Il volumetto, infatti, è più che altro un commento alle vicende della famiglia reale e della regina in particolare durante la Rivoluzione. L'autore dà per scontato che si sappiano moltissimi dettagli della sua vita. Bloy, malinconico monarchico, ripercorre gli ultimi mesi della sfortunata regina e non lesina critiche nè al popolo francese nè alla Rivoluzione stessa. Oltre alle convinzioni politiche dell'autore, più o meno condivisibili, il libretto è interessante per alcune considerazioni sulla famiglia dei Borboni e sull'umanità in generale oltre che per l'atmosfera romantica e disperata che aleggia su tutte le pagine. Bloy individua nella vita della regina i segni precoci della sua rovina e strappa al buio del caso la sua vicenda inquadrandola nell'ottica della predestinazione. Il saggio stesso inizia con la frase: "Maria Antonietta nacque il giorno dei morti" e continua parlando di "fasce funebri" fino alla conclusione sulla ghigliottina. La stessa predestinazione che ritroverà nel destino dell'erede di Napoleone III morto in Africa, presso il Blood River, (fiume di sangue), mentre montava un cavallo di nome Fate, Destino. Non so se la'utore abbia ragione oppure no, ma di fatto riesce a concatenare gli eventi in modo tale da far dubitare che la sorte sia davvero cieca... per tutto il libro si avverte la presenza crescente di un'entità immensa e buia, di un dsestino dotato di una volontà e di un'intelligenza irremissibili. Belle anche le pagine dove parla del probabile figlio di Luigi XVI e Maria Antonietta che non riconosciuto dai parenti e sccciato da tutti i potenti morì in solitudine, più o meno lo stesso copione di Anastasia Romanov. Bloy stesso ammette che egli "appartiene al Mistero come si appartiene ad una patria" e che è impossibile sapere con certezza che fine fece il piccolo Luigi Carlo. In alcuni punti l'ho trovato pedante ed eccessivamente retorico, ma per il resto penso sia molto interessante.
Recensioni
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scheda di Bertini, M., L'Indice 1996, n. 5
In questo volumetto marginale e poco conosciuto, Bloy riun nel 1896 alcuni articoli scritti in periodi diversi, ma legati dal filo di un'ispirazione comune: quella che scaturisce dalla meditazione sul destino di tragedia, di morte e di disfacimento che attende, alla fine della loro parabola storica, molte stirpi regali. Il primo esempio è quello di Maria Antonietta: cristiana "violenta e dolce", "assetata di eroismo", la "regina dei gigli d'oro" si contrappone qui al suo debole e inetto marito, e incarna, solitaria e sublime, quella "poesia del sangue e delle lacrime" cui è affidato per Bloy il solo riscatto della Storia. Più originali e meno agiografici sono i due testi successivi, dedicati l'uno a un presunto figlio di Luigi XVI, sprofondato nell'abiezione, e l'altro al figlio di Napoleone III morto in Africa (quello ricordato nella carducciana Nemesi). Pagine suggestive, che collocano l'"agonia della Stirpe Capetingia" sullo sfondo di una sinistra osteria dalla facciata livida e dai vetri sigillati.
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