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paperback 58 9788857510651 Ottimo (Fine).
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Jorge Luis Borges indaga sul buio di due condizioni, fisiche e mentali: La cecità e L’incubo. Riguardo al primo stato, veniamo informati del non-buio che circonda gli ipo-vedenti, «un mondo fatto di nebbiolina, una nebbiolina verdognola o azzurrina e vagamente luminosa», in cui si intravedono pochi colori: il giallo, il verde sfumante nel blu. Mai il nero, mai il rosso, raramente il bianco. Nella cecità Borges ammette di avere perso il mondo esterno, ma di averne conquistato un altro, altrettanto ricco e formativo: quello della letteratura, dei «lontani antenati» greci, scandinavi, anglosassoni, medievali. «Ho sempre sentito che il mio destino era, anzitutto, un destino letterario… Uno scrittore, o meglio ogni uomo, deve pensare che tutto ciò che gli succede è uno strumento; tutte le cose gli sono state date per un fine e questo deve essere più forte nel caso di un artista». Altri grandi hanno preceduto Borges nella cecità. Non solo i suoi predecessori nella direzione della Biblioteca Nacional Argentina, Groussac e Mármol; ma soprattutto Omero, Milton, Joyce, forse maggiormente in grado di esplorarsi nell’anima proprio grazie alla loro menomazione: «Chi può conoscere meglio se stesso, se non un cieco?» L’altro buio raccontato da Borges è quello del sonno, che interessa ogni essere vivente, «la modesta eternità che possediamo ogni notte». Lo scrittore argentino confessa quali siano i suoi incubi ricorrenti: il labirinto, lo specchio e la maschera, che metaforizzano tutti lo smarrimento, il rispecchiamento mendace, l’inganno. E aggiunge di essere affascinato dal sogno, anche nella sua versione più orrifica e drammatica, perché si tratta dell’«attività estetica più antica», di cui ciascuno di noi è artefice, e in cui «siamo il teatro, il pubblico, gli attori, la trama, le parole che udiamo». Sognando, diventiamo tutti pittori, poeti, registi, autori drammatici, strumenti di un sovrannaturale che ci libera da una realtà opprimente e immodificabile.
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