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Pochissimi in poesia hanno fissato l'orrore del Novecento, le più atroci bassezze, le piaghe umilianti, il fumo dei congegni di male come Paul Celan ( metto accanto a lui solo Nelly Sachs). Nei sui versi strozzati, in quegli accapo sospesi, nei tanti puntini in cui l'indicibile lancia come preghiere rabbiose le proprie domande al cielo, agli uomini, c'è la stessa sorte delle milioni di vite dilaniate dall'Olocausto. E' una poesia nella quale la somiglianza fra parola e destino è fuori discussione, e forse solo così si poteva accostare la vera entità di un assurdo così vertiginoso. Anche nelle lettere quest'impronta si fa conferma. Come in questo carteggio con Diet Kloos, dodici, appena dodici epistole, ma di un'intensità che commuove e sconcerta. Si conobbero sulla terrazza di un caffè, a Parigi, l'aggancio fra quei tavoli vicini fu un libro da lei appena acquistato da un bouquiniste. Avevano patito entrambi i rovesci della vita, lutti, carenze enormi, ma un senso di calore fiducioso, immediato e una spinta di ispirazione sentita si alzano presto dentro di lui come un vento di favore e coraggio: "Lo sai che in una poesia ogni parola conta come un'intera lettera?". Non avranno grande durata, una cappa di pesantezza fatale rimarrà sul cuore come un groviglio di smarrimenti risorti: "E dopo? Dopo è tornato di nuovo il prima, un'ora che non trova un nome, poi una seconda che rinfaccia alla prima di non aver trovato un nome, e quindi una terza che.......Un circolo eterno, tutto defluisce in se stesso e si riconosce in tutta la sua futilità". La speranza, questa sciarpa lacera attorno al collo della sopportazione, un amore inattinto, un cenno nuovo, illusorio, vago presagio di una promessa posata solo nell'idea, senza futuro: "In fondo sono anche uno che, se svolta all'angolo di una strada, spera di trovare un piccolo arcobaleno non più grande di un anello. Da regalare, naturalmente". Tenerezza infinita conficcata in un dentro stracolmo di buio. Una gemma.
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