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Il saggio, che va a incrementare e ad aggiornare l'esigua bibliografia italiana sul regista spagnolo, potrebbe essere considerato come il risultato di un dialogo intersemiotico carpito con scrupolo da due ascoltatori esterni: gli interlocutori in gioco sono, ovviamente, Pedro Almodóvar, il cinema e la società postmoderna e contemporanea. L'indagine si articola assecondando un andamento cronologico, dal film d'esordio Pepi, Luci, Bom e le altre ragazze del mucchio (1979-1980) al recente Gli abbracci spezzati (2009), e gli appunti critici, disseminati in quattro macrosezioni che scandiscono altrettanti momenti della traiettoria artistica del cineasta, assumono la discrezione di una voce in off che accompagna i fotogrammi e chiosa gli episodi più significativi dei lungometraggi proiettati sulla pagina.
Il filo d'Arianna dipanato non solo orienta e conduce, ma sonda numerosi meandri del labirinto almodovariano di geometrie e passioni, ponendo in risalto i precisi e maliziosi ammicchi ai grandi registi della storia del cinema (Hitchcock, Fassbinder, Cassavetes ecc.) e il travolgente irrompere di un'esuberante estetica pop, di un kitsch addomesticato, al tempo stesso collante e reagente, che getta scompiglio nell'ordine perfettamente calibrato delle immagini, dell'interazione fra generi cinematografici e delle intricate relazioni sentimentali tra i personaggi, tessute sempre a partire dalle dicotomie eros/thanatos e corpo/anima. Le trame vengono sfruttate per mettere a nudo l'impianto concettuale e fattuale di ogni singolo film, per mostrare le complicità e le idiosincrasie del regista manchego, e offrono inoltre il destro per continue puntualizzazioni che moltiplicano le chiavi di lettura. Grazie allo sguardo critico di ampio respiro, è possibile osservare come la dimensione personale di Almodóvar (spesso ritenuto, a torto, un artista chiuso in un sistema autoreferenziale di simboli e stilemi) sia in realtà la coloratissima cartina al tornasole di una collettività sofferta e carica di tensioni che è sorta, in ambito spagnolo, dalle ceneri del franchismo per poi inserirsi in un contesto globalizzato dove qualunque accadimento irrilevante o tragico può assumere una valenza universale. Dallo sgangherato e irriverente duo canoro del regista in compagnia dell'inseparabile MacNamara, connubio che riassume la temperie ludica della "movida", in Labirinto di passioni (1982), si passa alla struggente Cuccuruccucu Paloma interpretata da Caetano Veloso in Parla con lei (2002), espressione canora di un amore oscuro, quasi di segno lorchiano, che fugge con un volo disordinato dalle mani, incapaci di contrastare i capricci del destino: si è di fronte all'assoluto della sofferenza di un amante che anela un ricongiungimento ormai impossibile con l'amata.
Lo studio, nelle battute finali, si concentra invece sulla produzione almodovariana degli ultimi cinque anni: svela le luci di una finezza artistica che sembra aver raggiunto il suo apice, ma insinua anche l'ombra di un certo manierismo, soprattutto nell'insistita vena metacinematografica (La mala educación, Gli abbracci spezzati) e nel voltarsi a guardare il passato (Volver), che potrebbe condurre a una reiterazione edonista e compiaciuta, allo spezzarsi della magia visiva per un eccesso di zelo narrativo, dove lo sproloquio soppianta il fascino dell'elusione. Proprio l'oscillare fra un tempo preterito già fissato sulla celluloide e un futuro di innovazione, l'esitare tra rincorsa e salto nel vuoto, paiono intrecciarsi in un nodo gordiano che Almodóvar dovrà forzosamente sciogliere nelle prossime prove per evitare di rimanere intrappolato in una pericolosa coazione a ripetere. Simone Cattaneo
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