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Per gli italiani che amano il danese e per i danesi che amano la lingua italiana... e anche tanta magia
CONTINUAZIONE...Dicevo del senso di umanità, sì, mi sembra questo il fil rouge che ha portato l’autore a una rievocazione così commovente che ancora riesce ad appassionarci, a prenderci alla gola. Cinque donne vittime dell’ottusità, codina, di un ambiente sociale crudele incapace di accettare le caratteristiche di intelligenza, intuito, joie de vivre, di donne che non chiedevano che di far vibrare le loro trasognate potenzialità di seduzione e allora… cinque streghe! I secoli dei roghi sono finiti, ma non possiamo fare a meno di interrogarci sull’attualità. Non sono finite le incomprensioni, i soprusi e le violenze che ancora le donne devono sopportare. Le streghe di allora non avevano niente di diverso da ciò che ogni donna continua a possedere e, in più, c’è l’antica sapienza che ci è stata tramandata. Ringraziamo Pablo Paolo Peretti per questi versi dall’espressività incisiva tra meditazione e ascolto, perché con lui, si possa dire:”forse un giorno volerò anch’io”. Carla Paolini
Cosa c’è di più avvincente che entrare nella vita di chi ci sfiora per caso o per destino? Pablo ha scelto di farlo con la forza della poesia, con lui ci immergiamo in un continente di figurazioni trasognate che senza l’illuminazione della parola sarebbe andato disperso nel nulla. Un viaggio a ritroso nel tempo, una rievocazione intorno a cui aleggia il profumo di Spoon River. Cinque biografie fra il reale e l’immaginario. Per la sua trasfigurazione l’autore prende spunto dalla realtà. In Danimarca, cinque donne dalla fine del quattrocento a tutto il settecento, vennero torturate e poi condannate e mandate al rogo. L’artificio poetico, suddiviso in cinque parti, si apre con un testo autobiografico “ultima poesia prima di morire”, in cui ogni personalità in scena, rievoca con accenti drammatici: “ho respirato prima della morte”, “ero amata/ ammirata/ poi bruciata” … le angosce che hanno preceduto la sua esecuzione. Ad ogni parte fanno seguito i nove testi di P.P.P., che, nella finzione, ogni condannata predilige e sceglie, quasi volesse portarli con sé, come punto d’appoggio oltre il confine che mette in contatto l’anima con l’altra vita. Il montaggio narrativo breve, limpido che sta alla base della silloge, trova le sue motivazioni nel senso di umanità: germe e lievito che rende questi versi intensi e partecipati. Un lirismo contenuto, venato da “insana malinconia”, “non sopporto il brusio/ e i troppi sorrisi” quasi che la sua sensibilità fosse ferita da un eccesso inopportuno di gioia, che non appartiene alla riflessione del poeta. Non manca l’ironica consapevolezza del passare del tempo “più in la con gli anni […] rido di me stesso”. Un ventaglio di tensioni… vita vissuta, senza infingimenti, spesso con il desiderio di essere altro da sé, ma con il godimento della costruzione immaginifica che trasfigura, non per sfuggire ma per accedere alla parte più autentica della propria interiorità. Dicevo del senso di umanità... continua
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